Libri et mirabilia

Luce viola a sviluppo regolare (sera) –
Oceano Atlantico meridionale, 2 dicembre 1884

Ottobre è iniziato con il più potente brillamento solare degli ultimi sette anni. Il flusso di raggi X rilasciato dall’evento – a quanto si dice il maggiore dell’intero ciclo solare – è molto più intenso di quello di metà maggio. Per trovare una tempesta più forte bisogna risalire ai primi di settembre del 2017, quando si verificò un flare di classe X 9.3 a fine ciclo. Il nuovo evento ha prodotto una nuova significativa emissione di massa coronale: gli effetti del flare solare sono stati avvertiti sulla terra dalle prime ore di venerdì 4 ottobre (a conferma delle proiezioni dei modelli statunitensi), mentre le particelle solari emesse durante la seconda eruzione hanno iniziato a interagire con l’atmosfera terrestre dalla serata di sabato 5 ottobre.

In condizioni favorevoli (componente magnetica Bz fortemente negativa e densità e velocità del vento solare elevate) si verificano le aurore boreali, puntualmente arrivate. Al di là delle spiegazioni tecniche siamo di fronte a un organismo cosmico, con le sue vibrazioni e i suoi maestosi sussulti. Per più che probabilistiche assonanze fisiologiche, gli eventi e gli incontri avvenuti mentre una simile energia ha bussato alle nostre porte saranno destinati ad avere una grande importanza nelle nostre vite.

Gli antichi, pur in assenza di strumenti sofisticati per la misurazione, erano osservatori profondi e riservavano un’attenzione speciale a questi fenomeni, anche attraverso i rituali della vita pubblica. Astronomia e astrologia erano non a caso due discipline contigue, di cui la seconda affatto associata ad aspetti di superstizione ma vera e propria scienza della sincronicità, dei moti paralleli, degli unisoni corporei e sentimentali, delle corrispondenze fra alto e basso, fra cielo e terra. Ciò che noi abbiamo categorizzato e separato, nel mondo antico – nel periodo arcaico in particolare – godeva di legami ben saldi e si travasava in unioni fisiche e metafisiche di straordinaria vitalità. L’idea stessa di prodigio era il frutto di tali risonanze, perciò meno astratta di quanto possa apparire al nostro rarefatto pragmatismo.

Dalle esplosioni solari e le tempeste geomagnetiche alle eruzioni, dallo spazio profondo alle nostre latitudini il passo è molto più breve di quanto si voglia pensare. Lo studio dei corpi celesti e dei fenomeni atmosferici e la volontà di documentarli del resto è parte delle curiosità umane di lungo corso. Un interesse che talora ha preso forma in volumi affascinanti dove la descrizione scientifica si è felicemente incontrata con l’arte figurativa.

Il 27 agosto 1883, su una piccola isola dell’Indonesia, si verificò l’eruzione del vulcano Krakatoa, culmine violento di uno degli eventi vulcanici più letali e distruttivi della storia, la cui esplosione fu udita fino a 3000 miglia di distanza. Oltre alla terribile devastazione (36.000 morti sono stati attribuiti all’eruzione), sono stati segnalati strani effetti ottici in tutto il mondo, conseguenza dell’enorme pennacchio di cenere e detriti espulso nell’alta atmosfera.

Stando a diverse testimonianze, per alcuni anni successivi all’eruzione, i cieli all’inizio e alla fine della giornata, quando il sole era più basso nel cielo, sono stati particolarmente colpiti, brillando di strani colori per anni dopo l’eruzione e affascinando e incuriosendo scienziati, scrittori e artisti. I tentativi di documentare e spiegare il fenomeno hanno spesso assunto la forma di uno sforzo interdisciplinare, in cui arte e scienza hanno lavorato in tandem. Un esempio è un libro tedesco pubblicato nel 1888 – Untersuchungen über Dämmerungserscheinungen: zur Erklärung der nach dem Krakatau-Ausbruch beobachteten atmosphärisch-optischen Störung, che si traduce approssimativamente come “Studi sui fenomeni crepuscolari: per spiegare il disturbo atmosferico-ottico osservato dopo l’eruzione di Krakatoa”. Mentre la maggior parte del libro è un’esplorazione attraverso il testo del fisico tedesco Johann Kiessling, le ultime pagine sono dedicate a una meravigliosa serie di cromolitografie da immagini acquerellate di Eduard Pechuël.

Pechuël-Loesche fu un naturalista tedesco, collezionista di piante e pittore di acquerelli che viaggiò molto, anche in Africa occidentale dove accompagnò Paul Güssfeldt nella spedizione di Loango del 1873-’76 e svolse un ruolo nella fondazione dello Stato del Congo. Sebbene la maggior parte delle immagini di Pechuël-Loesche nel libro citato risalgano agli anni successivi all’eruzione del Krakatoa, tre provengono in realtà dalla “Costa di Loango” (nell’odierna Repubblica del Congo), durante l’omonima spedizione.

Il testo di Johann Kiessling si è rivelato fondamentale per la comprensione di questi strani cieli post-eruzione, spiegando l’enigmatico fenomeno in termini di diffrazione della luce solare da parte delle particelle della nube di cenere. Cercando di replicare l’effetto attraverso la sperimentazione in laboratorio, Kiessling progettò e costruì una “camera a nebbia”. Un’invenzione che, insieme al successo dei suoi esperimenti, si rivelò fondamentale per lo sviluppo della camera a nubi di Charles Thomas Rees Wilson, utilizzata in fisica delle particelle per rilevare i percorsi delle particelle radioattive.

Vediamo dunque come un fenomeno naturale abbia determinato l’incontro di due belle menti, innescando e orientando a sua volta altre ricerche di sorprendente portata. Se questa non è una ritmica meravigliosa, se non è questa la poesia del mondo…

Nuvola d’irraggiamento con luce rossa durante il periodo di perturbazione (mezzogiorno) – Jena, 24 aprile 1884
Nubi d’ombra dopo il periodo di perturbazione (mezzogiorno) – Jena, 10 settembre 1887
Ombra terrestre e crepuscolo [cintura di Venere] con i raggi crepuscolari che convergono dopo il contrappunto del sole, estate 1884

Per approfondire si veda l’articolo Studies on Twilight Phenomena, after Krakatoa (1888) pubblicato su “The Public Domain Review

Pendoli e prodigi

Questa riflessione potrebbe intitolarsi pendoli e prodigi. Il pendolo è qualcosa che scandisce il tempo, anzi lo spazio ancor prima del tempo, con identico moto. Ha in sé qualcosa di ossessivo e perfino snervante. Ci fa sentire senza uscita ed è meglio non soffermarcisi troppo. Si rischia l’ipnosi o di restare inchiodati al suo ripetitivo dettato. Il prodigio è qualcosa che irrompe, inatteso, improvviso. Non è detto che faccia rumore. Anzi, spesso ci viene incontro impercettibile. Altre volte sembra quasi metterci alla prova. Saremo davvero in grado di coglierlo o la nostra sensibilità si è nel frattempo persa, soccombente ai ritmi sempre uguali e ossessivi del pendolo che ci svuotano le pupille? No, sentiamo ancora se quell’impercettibile ancora ci parla. E anche il pendolo, forse, diventa meno stringente. La sua cadenza non è più ad infinitum, inafferrabile, senza meta, ma diviene un cenno rituale.

Ero salita a San Pietro in Vincoli e mi aggiravo in una via laterale. A un certo punto si è alzato il vento, sempre il vento, che è spirito, anima, soffio vitale. Cammino nel primo pomeriggio, la luce è cambiata e io vago. Divago. Cadono all’improvviso dei calcinacci da un palazzone antico. I pochi frammenti si disintegrano sulla macchina sottostante, quelli più piccoli mi arrivano sul braccio, per fortuna senza conseguenze. Un turista accanto a me, visibilmente spaventato grida: “What’s happened?”. E io, appena dopo aver compreso: “The wind, the wall”, con una calma inusuale. Mi è sembrato di ripetere il verso di un poema. Quasi parlassi da chissà quale mondo. E non mi sono resa conto che intanto stavo tenendo il braccio fermo nella stessa posizione dell’attimo in cui avevo sentito cadere quei pezzi d’intonaco. Chiamarlo prodigio può suscitare inquietudine. In fin dei conti, diciamo, è andata bene. Oppure, si tratta di un prodigio proprio perché è andata bene. Ma c’è qualcos’altro. Nello spavento di quei secondi, che ho realizzato solo nel momento in cui ho sentito gridare quella frase accanto a me, mentre ho avvertito la mia pelle lambita da quei frammenti di muro, per me è stato come esser toccata, non solo da materia fisica, ma da un pensiero, un intendimento, qualcosa di molto vasto, di sapiente e presente come se fosse sempre lì dove siamo. E questo non può certo dirsi pauroso. Una mia amica asserisce con grande convinzione che si tratta per l’appunto di Wunder, e che vanno presi per quello che sono e bisogna rispettarli.

Io credo in una ritualità che appartiene agli eventi, agli incontri. Non credo alla casualità di questo turista al mio fianco che ha condiviso con me l’esperienza dello spavento e dello stupore. Un’esperienza così intima e frastornante, più intima e profonda di altre che consideriamo tali. Sacre cose che saluto sul mio cammino, perché attutiscono, rallentano il pendolo e, anzi, danno senso, illuminando tutto il resto. Ultimamente ho avuto molti riscontri così, meno rischiosi, ma di pari intensità, un’intensità che per ciascun caso si misura in modo diverso. Ogni volta ci si sente scavati, torniti come materia grezza plasmata da una mano che forse talvolta sembra togliere ma solo per aggiungere, per raggiungere un istante di comprensione, il senso, il vero che ci appartiene, che è per noi riconoscimento nostro e degli altri. Tali cose sono costellazioni, sono parte della bellezza a cui esortavo nelle mie poche frasi d’inizio primavera. Sono infine disvelamento e respiro.

Dunque certi attimi sembrano destinati ad essere più rivelatori di un’intera epoca. Lo ha già espresso qualcuno, se in forma simile o diversa non saprei dire con esattezza. Ci si sente infinitesimi, fibre lievissime che sono parte e non parte di qualcosa di molto più grande. Attraversiamo luoghi come in sogno. Siamo e non siamo. E capita un giorno di entrare in un giardino, di posare lo sguardo su un’erta un po’ arruffata, sulla delicatezza dei fiori. È un miracolo avvistare tanto splendore, soffermarsi sull’idea che la terra spontaneamente ancora ne offra. Proprio questo pensiero tra belle e delicate apparizioni è anzi il perfetto connubio, il vero incantesimo opposto alla bufera. Perché ormai ogni attimo risparmiato a ciò che è crollo e perdita, ogni intensità sottratta alla fuga del tempo, al rigore del pendolo, che altrimenti livella e abbatte e disfa, ha in sé una qualità prodigiosa. Passa un altro giorno e dal cielo scendono grandine e pioggia. Che ne è più della leggerezza e del sogno di quelle rapide ore vissute? Il vento ha frantumato l’intonaco di una facciata, la pioggia ha dilavato le alture. Qualcosa precipita vicino a me, mi tocca e non mi tocca. Lo sbriciolarsi di un muro in un vicolo, la caduta dei cieli. Materia per materia, tanto reale, altrettanto irreale. Davanti o dietro di me a delimitare un istante di verità.

Roma – Fioriture ai Fori Imperiali
Roma – Tra noi e gli antichi
Firenze – Il giardino dell’iris
Firenze – Il giardino dell’iris – panorama

* Fotografie di Claudia Ciardi ©