Storie d’arte e d’ispirazioni torinesi

Il capoluogo piemontese prosegue e incrementa un dialogo fra arti, creatività e poesia con iniziative capillari e diffuse. Proprio in questi giorni è arrivata anche la consacrazione sul «Financial Times» che premia il Piemonte come una delle compagini più dinamiche a livello europeo per strategia del territorio. Di sicuro la regione sta mettendo in campo tante energie e Torino è una fucina in cui confluiscono molti punti di vista, non necessariamente allineati o prevedibili. Già qualche anno fa alcuni media esteri, fra cui la CNN, invitavano a scoprire la capitale sabauda quale alternativa alle mete italiane tradizionalmente più conosciute e pubblicizzate, nell’intento di alleggerire i flussi turistici sempre e solo diretti verso gli stessi centri. In questi mesi ho avuto modo di confrontarmi con diversi progetti legati all’inclusività, alla valorizzazione del patrimonio culturale, alla creazione di modelli gestionali di comunità nelle province di montagna e nei tessuti urbani. Oltre ad aver seguito gli ultimi eventi organizzati nel circuito delle mostre d’arte e della divulgazione poetica, come quello di “Arte Città Amica” che mi ha coinvolta in prima persona, in occasione del ventennale della storica associazione torinese.

Luci d’artista a Torino

Desidero quindi segnalare il ciclo di esposizioni dedicate dall’Accademia Albertina alla propria collezione fotografica. Iniziato con “La fotografia e le arti” (ottobre 2023), si concluderà con gli “Orientalismi” il prossimo luglio. Per la prima volta una serie di documenti misconosciuti al pubblico escono dai caveau e sono visibili in Pinacoteca. L’Albertina è un luogo che tende a essere meno visitato tra i poli museali torinesi pur trattandosi di uno spazio estremamente meritevole, denso di memorie storiche per capire la città e avvicinarsi al suo passato-presente. È inoltre ripresa la tradizione di ricostruire le vicende di un’opera inedita nell’ambito del percorso tematico di volta in volta proposto. All’interno della sala dei cartoni gaudenziani, anche attraverso modalità interattive, riprende vita un quadro, un progetto in parte se non del tutto andato perso o della cui esistenza poco o nulla si sapeva.

*Depliant informativo dell’Accademia Albertina

Qualche giorno fa è stata poi inaugurata la personale del fotografo Michele Pellegrino nei locali di Camera. Un allestimento offerto come un’antologia da sfogliare, suddivisa in sezioni rappresentative dei suoi principali filoni di ricerca: Esodo. Storie di uomini e di montagne; Visages de la Contemplation; Scene di matrimonio; Le nitide vette; Langa. È il battesimo ufficiale fra i grandi autori italiani, culmine di un percorso che ha visto l’arte di Pellegrino protagonista di tante rassegne – ricordo sempre a Torino Persone presso la Fondazione Bottari Lattes – e così via nel resto del Piemonte e fra le pagine di altrettante intense pubblicazioni: gli ultimi cataloghi per Electa Prima che il tempo finisca e Io il covid e le nuvole, e ancora risalendo a ritroso i racconti fiabeschi di Il silenzio magico della montagna, Alta Langa. L’altra collina, Incanti ordinari. Perciò mi auguro che presto ci sia la volontà di replicare con un’iniziativa che magari dia spazio anche a un excursus dei libri a stampa che nel tempo hanno accompagnato il suo cammino fotografico.        

Michele Pellegrino_Allestimento per Camera Torino_Le nitide vette
Michele Pellegrino_Allestimento per Camera Torino_Le nitide vette_Peuterey

A chi voglia infine incontrare l’arte in un contesto autentico e confidenziale suggerisco una visita in Via Rubiana alla galleria di “Arte Città Amica”. Ringrazio Raffaella Spada per il tempo che mi ha dedicato, per gli incoraggiamenti e i consigli che mi ha dato sui materiali e le tecniche – in generale direi una lezione di vita –  e per gli artisti che mi ha presentato. Ispirazione principale di questo gruppo è il nesso che unisce segno pittorico e parola, al centro peraltro della mostra allestita questo mese e aspetto che considero centrale nella mia stessa indagine. Una bella serata trascorsa al riparo e al caldo, pure in senso emotivo, in una Torino ancora abbastanza infreddolita. Fra le stazioni di Racconigi, Rivoli e Monte Grappa è bello sapere che ci sia un rifugio così accogliente dove si aggirano presenze gentili, anche queste appartenenti a una storia torinese ben diversa dalle contrapposizioni e disattenzioni che purtroppo fin troppo spesso ci sono state riservate dagli ultimi anni.   

La Galleria di Via Rubiana
La mostra della Galleria di Via Rubiana

Le mie montagne per “Arte Città Amica”


Fotografie di Claudia Ciardi ©

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Torino capitale della fotografia

Complessità culturale nella vita liquida

Automazione, informatizzazione e passaggio al digitale – della pubblica amministrazione, dei patrimoni culturali e di moltissimi settori in contatto diretto o ravvicinato con la nostra quotidianità – stanno determinando mutamenti estesi e profondi nei modi di relazionarci, di intendere il lavoro, scisso fra alcune possibilità aperte dalle nuove tecnologie e la perdita di occupazione, e dunque una non aggirabile condizione di incertezza, precarietà economica e conseguente disagio. 
Quando il direttore del Museo egizio di Torino ha di recente prospettato la realtà di un museo gratuito, in molti si sono detti contrari e contrariati. Ma l’atteggiamento di chi sembrava abbracciare chissà quali rivoluzioni in questo stesso settore, per poi mostrarsi fra i più reazionari, ormai non mi sorprende più. La gratuità non deve spaventarci, non va vissuta come un incubo ingovernabile. Semmai bisogna iniziare a ragionare su come intervenire per destinare risorse laddove altre se ne possono liberare; il dono dell’automazione e dell’utilizzo delle intelligenze artificiali – purché sia un uso controllato e indirizzato dall’essere umano – necessita di una governance, che va pensata per tempo, e che ovviamente non potrà non valersi di qualità creative, di fantasia e in buona sostanza d’immaginazione. Temere una deriva di sregolatezza rispondendo con chiusure irrazionali, significa rinunciare a essere interpreti di quanto sta accadendo. Mentre è importante coglierne l’alto potenziale di libertà a un preciso e più saldo livello di responsabilizzazione.
Il cambiamento è già in mezzo a noi, tant’è vero che ne stiamo osservando rovesci e problematiche. Esserne osservatori passivi, vuol dire desistere dal comprenderlo e volgerlo – almeno provarci – in situazioni vantaggiose. Quello che ha affermato il direttore Christian Greco solleva pertanto una questione di enorme attualità, che coinvolge l’impostazione politica, che quindi si riflette su una serie di altri orientamenti e scelte. Una questione strutturale, di metodo, direi. Nei miei articoli ne parlo da diverso tempo e, lo ammetto, anche forse in alcune forme piuttosto immature quando si ragionava sui primi modelli di reddito di cittadinanza o universale. È un argomento irritante per alcuni, lo capisco, ma non è evitabile. L’estrema esasperata condizionalità con cui il lavoro appare e scompare, e aggiungo anche la sensazione che i modelli e i contenuti formativi siano sempre non dico un passo indietro, ma un centinaio, rispetto alla velocità di quel che ci costringe di continuo a ripensarci, non permettono tentennamenti al riguardo.

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Non è un caso, per fare un esempio in linea con queste urgenze, che proprio nell’ambito del dibattito culturale – almeno fra soggetti realmente e autenticamente in campo per trovare soluzioni e un po’ meno preoccupati dagli avanzamenti e riposizionamenti delle proprie carriere – sia molto sentito il tema della riconoscibilità delle professioni artistiche e, più ingenerale, dell’inclusività delle diverse figure operanti a vario titolo in tale settore. E ancora, fra i vari rilievi emersi ad esempio durante la conferenza di “Minicifre 2023” tenuta a Roma lo scorso 6 dicembre, si è ribadita l’importanza di incrementare osservatori aggregati del territorio per leggere, elaborare e armonizzare al meglio i dati della cultura. Trattandosi infatti di un mondo multidimensionale, con molti attori, dove peraltro l’intervento politico relativo ad alcune aree sembra incerto, prima della lettura statistica, ovverosia dei consumi, occorrerebbe tener presente la pratica culturale (o esperienza culturale), cioè il coinvolgimento, il tempo dedicato dal cittadino alla cultura. In concreto, seguendo quanto detto in questa occasione dalla professoressa Annalisa Cicerchia, economista dell’Università di Tor Vergata, più che misurare gli ingressi nei musei, come ci si ostina a fare, sarebbe opportuno misurare il tempo trascorso da una persona in un museo. Dunque tenere in mano il metro della qualità di una visita, che comprende un insieme organico di fattori, non solo l’entrata-uscita da un luogo ma cosa quel luogo è in grado di trasmetterci (e cosa può cambiare dentro di noi) durante e dopo il nostro percorso.
Come correlato si rimanda ai tracciati esperienziali dell’immersività che negli ultimi anni, specialmente nel periodo della pandemia, hanno contribuito e stanno contribuendo alle maggiori e più articolate considerazioni sul comunicarsi dell’arte, sui nodi psicologici della multisensorialità quando incontriamo (e attraversiamo) gli oggetti d’arte.

Minicifre_Roma_6 dicembre 2023

A monte di tutto si pone è chiaro un richiamo all’etica. In sintesi, le pubblicistiche possono aiutare un po’ ma bisogna che poggino su basi solide, su contenuti. Se la pubblicistica arriva a oscurare i contenuti, quando non a calpestarli, è solo un clamore fine a stesso, incomprensibile e controproducente. E uno spreco di denaro pubblico. Con la crisi economica e con i danni aggiuntivi causati da eventi atmosferici aggressivi che impattano su infrastrutture mal costruite, già discutibili e precedentemente discusse, certe propagande e manie di protagonismo meritano un po’ più di una riflessione. In questo scenario liquido, secondo le penetranti letture di Zygmunt Bauman, dove pochi personaggi alla sommità della piramide dimostrano adattabilità, velocità e un impassibile e divino distacco verso chi non ha gli strumenti per navigare e avere successo in queste condizioni – tuttavia non potranno che essere pochi i beneficiari della liquidità, perché come spiega Bauman un simile status genera appunto una struttura piramidale – sperimentiamo in pieno un deficit di rispetto in ogni sfera dell’attività umana. L’insofferenza – o incapacità – al prendere impegno con l’altro, la sensazione di essere sempre spinti via, di non potersi né volersi soffermare su qualcuno o qualcosa mette in crisi ogni minima forma o propensione solidale. Ciò proprio mentre le architetture della coesione sociale – nella forma ultima di questa selettiva piramide – vacillano. Ma che la piramide liquida non poggi su basi ferme è un bene, ed è una fatalità attesa. 

Zygmunt Bauman, Vita liquida, Editori Laterza, Bari 2006
(e ristampe)

Vorrei concludere sottolineando che nel corso di quest’anno – nonostante il carico di pesantezze che certi piramidali prigionieri di vecchi schemi hanno inteso gettarmi addosso – per fortuna ho avuto modo di gestire attività appaganti e parlare e confrontarmi con decine di persone, di età e percorsi professionali assai diversi. Incontrate in viaggio, durante gli eventi culturali cui ho presenziato o in fila da qualche parte. È stata un’esperienza di altissimo valore, direi di grande arricchimento personale. Perché mi sono sempre capitati interlocutori “svincolati”, con idee trasversali e traverse, insomma delle belle menti. Al contrario, devo dire, non si sarebbero avvicinati o non ci sarebbe venuta voglia di parlare. La chimica dei rabdomanti. Tutto ha contribuito agli spunti e agli stimoli che mi hanno avvicinata e per così dire “consacrata” in via definitiva a certi temi che ho sviluppato nei più recenti lavori di scrittura, nelle mie collaborazioni d’arte e in ciò che desidero coltivare nella mia ricerca.

Poesia, amore e pazienza. Sono i principi chiave del prendersi cura. Cura del sé, degli altri e del patrimonio culturale (materiale e immateriale). // Artslife su Linkedin.

Per approfondire:

Fuori rotta. Gli itinerari silenziosi della cultura

L’arte e l’archetipo

Tanagra in Toscana

Archetipo, forma primitiva, radice, matrice, primo volto. Creare è attingere al momento originale, chinarsi alla fonte dell’immaginario collettivo e berne le larve che vi affiorano. Dell’evocazione di questa delicatissima corrente, una sorta di flusso che compenetra chi si appresta all’opera e che si è soliti definire genericamente ispirazione, ho tentato una lettura in alcune mie pagine di recente pubblicazione.

La parola, derivante dal greco ἀρχέτυπον, assume in italiano quattro significati diversi che coprono altrettanti ambiti disciplinari: tecnico-artistico (da notare come la parola greca τέχνη congiunga le due sfere cognitive), filosofico, psicologico, filologico.

Così ci si riferisce al primo esemplare, il modello di un’opera cui altre simili e successive si orienteranno. Quindi nella filosofia, d’indirizzo platonico in particolare, il concetto di idee archetipiche rimanda all’essenza delle cose sensibili. In ambito psicologico, secondo le teorie di C. G. Jung (1875-1961), l’archetipo è l’immagine primordiale contenuta nell’inconscio collettivo, la quale sussume tutte le esperienze dell’umanità e della vita animale che l’ha preceduta, alimentando gli elementi simbolici delle favole, delle leggende e dei sogni. Infine, in filologia, si è soliti definire archetipo il manoscritto non noto ma ricostruibile con maggiore o minor sicurezza attraverso il confronto dei manoscritti pervenuti, da cui questi deriverebbero secondo i rapporti di dipendenza configurati nello stemma codicum, o albero genealogico. Ad esempio, non possediamo l’originale della Divina Commedia di Dante Alighieri – uno dei più clamorosi archetipi mancanti, rovello e passione per molti studiosi – ma talvolta la vicenda familiare dei codici pone in evidenza che l’archetipo stesso sia una chimera. Ossia nella genesi di un testo pare siano entrati in circolazione, fin dall’inizio, esemplari paralleli che rendono vana la ricerca di un solo capostipite.
Tale declinazione filologica è d’uso anche nell’archeologia e nella storia dell’arte: si dirà, statua che riproduce l’archetipo di Lisippo.

Il mio articolo per «Erba d’Arno» (quaderni 171-172), rivista pubblicata con il contributo della CR Firenze, indaga i nessi fra queste discipline, esplorando in che modo le arti e le diverse sfumature linguistiche di archetipo influiscano sia sulle realizzazioni creative sia sui meccanismi di fruizione delle opere stesse.

Accenniamo anche brevemente alla cosiddetta contaminazione fra le arti, come nel caso della poesia, della pittura e scultura. I rapporti e le influenze linguistiche fra Dante e Giotto, quindi i componimenti in versi di Michelangelo Buonarroti che hanno ispirato generazioni di artisti italiani e stranieri, fino all’età moderna, tra cui ad esempio gli espressionisti tedeschi.

«L’entusiasmo che si accompagna a certi ritrovamenti, a scoperte fortuite che all’improvviso ci riconsegnano fra le mani reperti millenari, è innescato da cotali suggestioni. La lontananza che si rifà vicinanza, l’idea di un destino comune che percorre l’umanità, la storia che s’incarna in un segno tangibile spingono l’onda emotiva che abbiamo visto in tante analoghe circostanze. Pensiamo a Tanagra o più recentemente a San Casciano dei Bagni o ancora ai nuovi ritratti del Fayum, affiorati dall’oasi alla fine di quest’anno, trascorso più di un secolo dall’ultima fortunata campagna.  Idoli del sacro e del profano, una quotidianità estatica che sopraggiunge a scrutarci, dee-madri che allattano, giocano coi loro bambini, impugnano il fuso, tessitrici che imitano il gesto delle Parche». (Claudia Ciardi, L’arte e l’archetipo. Specchio di vita immortale, giugno 2023).

https://www.tumblr.com/claudiaciardiautrice

Pistoia, una defilata città – solo in apparenza – ma da sempre spazio in fermento e fucina di molte iniziative. Capoluogo toscano meno frequentato dal turismo, crocevia affascinante di creatività e culture (da «Erba d’Arno» quaderni 171-172, rubrica “Editoria pistoiese”, pp. 132-133).


Calligrammi, una personale esplorazione nella mia scrittura del legame fra linguaggio verbale e figurativo. La riproposta sul mio profilo tumblr della prosa In ogni filo d’erba, omaggio ai borghi liguri, alla mia permanenza sanremese e a Giorgio de Chirico. Grazie a chi continua ad apprezzare questo testo (e a farmelo sapere!).

Si ama un luogo come si ama qualcuno

Sono convinta che quando una persona si è legata a un luogo, quando il suo destino l’ha portata a scrivere alcune pagine della propria vita in quello spazio, a partecipare emotivamente delle sorti di altre esistenze che lì si sono avvicendate, questo filo resti ben teso dove poi continua a camminare, ovunque i suoi passi procedano.

Michele Jamiolkowski, dall’Ucraina, dove era nato nel 1931 a Stryj (allora Unione Sovietica), è stato deportato da ragazzino e sopravvissuto ad Auschwitz. Mentre il padre, prigioniero insieme a lui, restò ucciso nel 1943, la madre poté miracolosamente riabbracciarlo a Cracovia a guerra finita. Una vita straordinaria e all’insegna del riscatto. Lo scampato pericolo della morte e il dolore si sono aperti a una carriera importante, ricca di soddisfazioni, consolidata al Politecnico di Torino, dove è stato professore di geotecnica dal 1969 al 2006. La sua maggiore impresa è stata l’aver stabilizzato la Torre di Pisa, riducendone la pendenza. Un lavoro meticoloso, complesso, con momenti di crisi acuta che hanno fatto pensare all’impossibilità di portare in fondo il progetto di messa in sicurezza. Coordinando un’ampia squadra di studiosi e maestranze – e di nuovo l’Opera del Duomo è stata cantiere vivo, partecipato, aperto al mondo – ha ridato vita, lui che ha avuto la sua stessa vita restituita, a uno dei monumenti più conosciuti al mondo. Undici anni (1990-2001) di preziose cure, ricerche, mani pazienti che hanno visitato, accarezzato, tastato i sussulti di questo antico corpo di marmo.

Stando ai rapporti annuali del gruppo di sorveglianza della Torre, creato nel 2001 subito dopo la riapertura, la cura Jamiolkowsky fruttifica ancora a distanza di molto tempo dall’intervento. La Torre recupera due arcosecondi all’anno, frazioni di millimetro. Sola e maestosa, spinge verso nord, opponendo la sua fiera lotta contro la gravità che dal 9 agosto 1173 (l’anno delle fondazioni) la attrae verso sud.

Così stamattina Salvatore Settis ha fatto divulgare il suo riconoscente saluto:


Lo scrittore ebreo tedesco Rudolf Borchardt, innamorato di Pisa, disse che solo in questa città il gotico aveva potuto acquistare tanta potenza drammatica, perché qui soltanto l’onda gotica si era rovesciata sull’ostacolo di un “grande stile” architettonico e figurativo già compiutamente espresso: solo da un simile urto poté nascere il dramma poeticissimo, l’incontro e lo scontro fra la classica «bellezza del sempre» e il gotico «amore del mai».

Jamiolkowski è morto il 15 giugno 2023, poche ore prima di una delle più importanti ricorrenze per la città. I festeggiamenti patronali che comportano l’allestimento di una suggestiva luminaria, ben nota anche all’estero. Così questi lumi in tale ricorrenza sono stati anche un po’ lucerne.

L’ora blu, guardando le luci verso il Museo San Matteo di Pisa, 16 giugno 2023

Una storia che ha unito la profonda tradizione politecnica torinese a uno dei più prodigiosi siti dell’arte mondiale. Grazie, Michal, caro, caro, caro. Ti sia lieve la terra.

* Fotografie di Claudia Ciardi ©

Pendoli e prodigi

Questa riflessione potrebbe intitolarsi pendoli e prodigi. Il pendolo è qualcosa che scandisce il tempo, anzi lo spazio ancor prima del tempo, con identico moto. Ha in sé qualcosa di ossessivo e perfino snervante. Ci fa sentire senza uscita ed è meglio non soffermarcisi troppo. Si rischia l’ipnosi o di restare inchiodati al suo ripetitivo dettato. Il prodigio è qualcosa che irrompe, inatteso, improvviso. Non è detto che faccia rumore. Anzi, spesso ci viene incontro impercettibile. Altre volte sembra quasi metterci alla prova. Saremo davvero in grado di coglierlo o la nostra sensibilità si è nel frattempo persa, soccombente ai ritmi sempre uguali e ossessivi del pendolo che ci svuotano le pupille? No, sentiamo ancora se quell’impercettibile ancora ci parla. E anche il pendolo, forse, diventa meno stringente. La sua cadenza non è più ad infinitum, inafferrabile, senza meta, ma diviene un cenno rituale.

Ero salita a San Pietro in Vincoli e mi aggiravo in una via laterale. A un certo punto si è alzato il vento, sempre il vento, che è spirito, anima, soffio vitale. Cammino nel primo pomeriggio, la luce è cambiata e io vago. Divago. Cadono all’improvviso dei calcinacci da un palazzone antico. I pochi frammenti si disintegrano sulla macchina sottostante, quelli più piccoli mi arrivano sul braccio, per fortuna senza conseguenze. Un turista accanto a me, visibilmente spaventato grida: “What’s happened?”. E io, appena dopo aver compreso: “The wind, the wall”, con una calma inusuale. Mi è sembrato di ripetere il verso di un poema. Quasi parlassi da chissà quale mondo. E non mi sono resa conto che intanto stavo tenendo il braccio fermo nella stessa posizione dell’attimo in cui avevo sentito cadere quei pezzi d’intonaco. Chiamarlo prodigio può suscitare inquietudine. In fin dei conti, diciamo, è andata bene. Oppure, si tratta di un prodigio proprio perché è andata bene. Ma c’è qualcos’altro. Nello spavento di quei secondi, che ho realizzato solo nel momento in cui ho sentito gridare quella frase accanto a me, mentre ho avvertito la mia pelle lambita da quei frammenti di muro, per me è stato come esser toccata, non solo da materia fisica, ma da un pensiero, un intendimento, qualcosa di molto vasto, di sapiente e presente come se fosse sempre lì dove siamo. E questo non può certo dirsi pauroso. Una mia amica asserisce con grande convinzione che si tratta per l’appunto di Wunder, e che vanno presi per quello che sono e bisogna rispettarli.

Io credo in una ritualità che appartiene agli eventi, agli incontri. Non credo alla casualità di questo turista al mio fianco che ha condiviso con me l’esperienza dello spavento e dello stupore. Un’esperienza così intima e frastornante, più intima e profonda di altre che consideriamo tali. Sacre cose che saluto sul mio cammino, perché attutiscono, rallentano il pendolo e, anzi, danno senso, illuminando tutto il resto. Ultimamente ho avuto molti riscontri così, meno rischiosi, ma di pari intensità, un’intensità che per ciascun caso si misura in modo diverso. Ogni volta ci si sente scavati, torniti come materia grezza plasmata da una mano che forse talvolta sembra togliere ma solo per aggiungere, per raggiungere un istante di comprensione, il senso, il vero che ci appartiene, che è per noi riconoscimento nostro e degli altri. Tali cose sono costellazioni, sono parte della bellezza a cui esortavo nelle mie poche frasi d’inizio primavera. Sono infine disvelamento e respiro.

Dunque certi attimi sembrano destinati ad essere più rivelatori di un’intera epoca. Lo ha già espresso qualcuno, se in forma simile o diversa non saprei dire con esattezza. Ci si sente infinitesimi, fibre lievissime che sono parte e non parte di qualcosa di molto più grande. Attraversiamo luoghi come in sogno. Siamo e non siamo. E capita un giorno di entrare in un giardino, di posare lo sguardo su un’erta un po’ arruffata, sulla delicatezza dei fiori. È un miracolo avvistare tanto splendore, soffermarsi sull’idea che la terra spontaneamente ancora ne offra. Proprio questo pensiero tra belle e delicate apparizioni è anzi il perfetto connubio, il vero incantesimo opposto alla bufera. Perché ormai ogni attimo risparmiato a ciò che è crollo e perdita, ogni intensità sottratta alla fuga del tempo, al rigore del pendolo, che altrimenti livella e abbatte e disfa, ha in sé una qualità prodigiosa. Passa un altro giorno e dal cielo scendono grandine e pioggia. Che ne è più della leggerezza e del sogno di quelle rapide ore vissute? Il vento ha frantumato l’intonaco di una facciata, la pioggia ha dilavato le alture. Qualcosa precipita vicino a me, mi tocca e non mi tocca. Lo sbriciolarsi di un muro in un vicolo, la caduta dei cieli. Materia per materia, tanto reale, altrettanto irreale. Davanti o dietro di me a delimitare un istante di verità.

Roma – Fioriture ai Fori Imperiali
Roma – Tra noi e gli antichi
Firenze – Il giardino dell’iris
Firenze – Il giardino dell’iris – panorama

* Fotografie di Claudia Ciardi ©

Ibico – Un canto di primavera

Nella poesia lirica corale Ibico (570-522 a.C. circa) occupa una posizione di rilievo. Reggino, appartenente a una famiglia aristocratica, si formò alla scuola del siciliano Stesicoro. Definito come uno dei primi poeti itineranti, soggiornò a Samo, alla corte del tiranno Eace e di suo figlio Policrate. Qui incontrò un altro celebre poeta greco, Anacreonte. Sarebbe stato anche un inventore (e costruttore) di strumenti musicali, tra cui un tipo particolare di lira detto sambuca (così Ateneo di Naucrati, IV, 175).

Secondo una leggenda, morì a causa dell’aggressione di un gruppo di malviventi inseguiti e scovati da uno stormo di gru, grazie a cui il poeta fu vendicato.

Proponiamo qui un suo celebre canto, il fr. 286 P, nella mia traduzione, in quella di Filippo Maria Pontani, per la raccolta dei lirici greci di Einaudi, e infine nelle raffinate rese del filologo Gennaro Perrotta e del poeta Salvatore Quasimodo, per me impareggiabile interprete delle voci greche.

La primavera è una forza vitale che scorre come linfa dentro ogni creatura. Per l’essere umano è il risveglio di Eros, una dirompente bufera, implacabile e drammatica (ἐρεμνὸς ἀθαμβὴς) che scuote e rimescola nel profondo. Si sente qui un’eco di Saffo (fr. 47 Voigt), dove amore è il vento di montagna che precipita nel bosco.

In primavera i meli 
cidonii dalle correnti dei fiumi
abbeverati, dov’è intatto
il giardino delle ninfe,
e i tralci dal sogno nutriti
degli ombrosi germogli, danno il fiore;
né in me amore riposa.
Ma gravido come il vento di Tracia
viene, dai lampi acceso
da Venere ispirato
intrepido, tenebroso scagliando
l’affilata pazzia, e sempre
potentemente il cuore ci sorveglia.

(Traduzione di Claudia Ciardi)

*I meli cidonii sono i meli cotogni. In greco antico prendono il nome dalla città di Cidonia sulla costa settentrionale dell’isola di Creta.

*Il tracio Borea è il vento del nord, la tramontana.

Ibico, fr. 286 P / Testo originale e traduzione di Filippo Maria Pontani da Lirici greci, a cura di Simone Beta, traduzione di F. M. Pontani, Einaudi, Torino 2008

A primavera i meli cotogni,
bevute l’acque vive dei fiumi,
fioriscono nell’inviolato
giardino delle Vergini;
sotto i tralci ombrosi dei pampini
fioriscono i fiori della vite.
Ma per me non dorme Amore
in nessuna stagione:
come la bora di Tracia infiammata di folgori,
così, messaggero di Cipride,
s’avventa con le sue follie ardenti
tempestoso, sfrenato: dalle radici
possiede l’anima mia.

(Traduzione di Gennaro Perrotta)

La versione di Salvatore Quasimodo pubblicata su “Pagine di poesia” / fb

Murales in parole greche – marzo 2023 / fotografia di Claudia Ciardi ©

Incantare. Simboli e figure del magico

Pagina d’illustrazioni tratta da “La magia a Roma”, articolo pubblicato su Storica (National Geographic Italia), luglio 2022

Mentre raccolgo qualche idea sulle tracce della cultura magica nel mondo antico, mi capita di leggere un articolo che mette in guardia da possibili risvolti patologici nel cosiddetto pensiero magico compulsivo. Tutti questi seriosi sostantivi così inanellati mi frastornano; forse l’avvisaglia patologica sta proprio in un lessico così ruvido e respingente. Si dice poi che bisogna fare attenzione a stanare questi sintomi già nei bambini. Un bambino ‘troppo fantasioso’ va monitorato e disinnescato. Che asettica in-civiltà la nostra! Ci sarà anche il rischio di qualche scivolamento psichico, ma si corre pure un pericolo altrettanto grave – se non peggiore – di sterminare degli ingenui moti e bisogni interiori, che sono forse il primo e unico mezzo per un bimbo di comunicare col mondo. Un mondo che può fargli sempre più paura e in cui vorrebbe trovare qualcosa di affascinante (non uso casualmente questa parola, ma la intendo come preciso rimando all’idea del fascino e dell’affatturazione).

Si capisce perché gli studi sull’antichità vivano oggi un momento assai impopolare. Greci, romani, persiani, egiziani erano immersi in simili credenze – certo erano società molto superstiziose, anche – ma avevano di sicuro più rispetto di noi per il dono dell’immaginazione.

Mi ha sempre suscitato apprensione chi attacca qualcuno solo perché si diverte a leggere un oroscopo. Che è peraltro un piacevolissimo divertissement, e oltretutto ci sono astrologi che hanno una capacità di scrittura più fine di altri compunti letterati à la carte. Insomma, l’intolleranza nei confronti della leggerezza, verso aspetti per così dire non immediatamente utilitaristici del vivere, la ritengo molto pericolosa. Fiutare il morbo dappertutto, perfino in un ingenuo momento di ‘piacere magico’ scaturito dal trafiletto astrale di una rivista, cela un intento persecutorio. Così, mentre diciamo di difendere la razionalità, siamo i più irrazionali e maniacali.

Nel mondo antico divinazione, interpretazione dei sogni, poesia, incantesimi e rituali religiosi, astronomia e astrologia erano aspetti vicini, in armonica fusione e comprovata confusione. Certo, non tutto era lecito. Anzi, le leggi sui sospettati di praticare malefici, di utilizzare le proprie conoscenze mediche e botaniche per fabbricare veleni, di attentare alla vita o ai beni altrui con mezzi occulti, erano severe e le punizioni contemplavano fino alla pena di morte. Emblematico il caso delle XII Tavole, il primo corpus giuridico latino. Secondo le autorità la magia era capace di provocare conseguenze nella vita reale, di qui la codifica di norme a protezione dei cittadini. Il pantheon greco-romano annoverava non a caso alcuni dei associati alla dimensione magica, come Hermes, il messaggero divino, che poteva viaggiare fra terra e aldilà, o Ecate, dea della notte e della stregoneria.

Nel periodo imperiale è noto il caso del romanziere Apuleio che non nascose la sua dedizione per le pratiche di magia – probabilmente si interessò ai misteri di Mitra, che dal I secolo a. C., con il ritorno delle legioni da oriente, conobbero a Roma larga diffusione. La stessa religiosità misterica con le sue implicazioni rituali intessute di prove da superare e catarsi finale sono per l’appunto al centro della sua maggiore opera letteraria Le Metamorfosi (o L’Asino d’oro).

La parola mago viene dal greco magos (μάγος) con cui si indicavano i Magi, sacerdoti persiani esperti in arti magiche, ma allo stesso tempo dotti in matematica e medicina. Quella legata ai culti magici è dunque una storia molto longeva che connette fasi diverse delle civiltà antiche nonché spazi geografici alquanto vasti, dalle satrapie orientali all’occidente. I greci ad esempio assimilarono la tradizione egizia di scrivere su piccoli fogli di papiro gli incantesimi, ai quali si accompagnavano ricette o pozioni a base di rare piante esotiche. Celebre l’opera di Fritz Graf, filologo e grande specialista delle religioni antiche, che ha raccolto, analizzato, ricostruito moltissimi aspetti della magia nel mondo greco e romano.

Per gli antichi la parola sprigionava un potere straordinario, cosicché era il medium per eccellenza dell’incantesimo. Una parola plasmata in versi, intonata, cantata. Qualcosa che poteva insinuarsi nella volontà, nel più intimo sentire di qualcuno e fin dentro i suoi sogni, intesi come catalizzatori di desideri, fantasie, disvelamenti; non semplici illusioni notturne ma spazi veri e propri in cui abitava l’anima.

In ambito artistico si segnala una produzione variegata e meravigliosa di oggetti magici dei quali gli amuleti sono forse i manufatti più bizzarri. Teste teriomorfe o figure mitologiche (la Medusa è forse la più frequente) sono al centro di rinvenimenti diffusi in tutte le aree occupate dalla civiltà ellenica e romana. Simili suggestioni si sono tramandate fino ai giorni nostri. Il volto della Gorgone in quanto simbolo ipnotizzante e apotropaico – quindi anche intriso di qualità magiche – ha avuto larghissima fortuna, come soggetto indipendente nelle rappresentazioni d’arte e perfino come logo aziendale. Si pensi alla casa di moda Versace che ha unito la Medusa (scelta dal fondatore Gianni) al leone (idea di Donatella) per la proposta commerciale delle sue produzioni. Entrambe queste creature sono infatti associate a vari livelli nella ritualità romana, portatrici di messaggi ctoni e ultraterreni.

Inchiostro Medusa_ditta Gio Diletti di Brisighella // Adoro questa bottiglia vintage / fotografia di Claudia Ciardi ©

La magia nell’antica Grecia e a Roma – Articolo di Eleonora Fioletti su Frammentirivista

Risolto il mistero della testa di toro nella vasca magica etrusco-romana di San Casciano dei Bagni – Su StileArte

I leoni antichi – simbologia – Museo Monteleonesabino

L’antropologia letteraria di Carlo Levi

Mito e trascendenza in H. Broch

L’epica antica accordata alle cadenze della letteratura tedesca del Novecento, passando a volo radente sui picchi monumentali di James Joyce. Questo è per sommi capi il Virgilio di Hermann Broch, destinato a trasformarsi in uno dei più complessi esperimenti sulla parola. Il commiato di un poeta che quasi indugia in una lunga seduta analitica, che è pure un trattato filosofico sul tempo o una partitura musicale che accoglie in sé ritmi disomogenei eppure contigui; dal debordare del flusso di coscienza alle dissolvenze espirate nell’avvicinarsi della fine. Due sponde – non a caso lo spazio è segnato dal ‘nonluogo’ di una traversata per mare – congiunte in un megalitico eternarsi del tutto.

Né mancano le suggestioni derivate dal mondo dell’arte. Di sicuro Arnold Böcklin – Virgilio si avvia ineluttabilmente verso la sua Isola dei morti – e limitrofe correnti simboliste.

Per uno strano contrappasso Broch fu sorpreso dall’onda nazista proprio ad Altausseee, placida stazione turistica dell’Austria che verrà ricordata per le sue miniere colme di capolavori trafugati da zelanti faccendieri su ordine del Führer. Qui lo scrittore sperimentò l’incubo della reclusione, qui la sorte decise che la sua creatività avrebbe trovato una via di fuga. L’arte prigioniera divenne arte liberata. Così accadde anni dopo anche ai quadri e alle statue lì relegati, per fortuna usciti indenni dall’umana follia.

Questo volume offre al lettore italiano due prose finora inedite in cui affiorano i temi salienti della grande narrativa brochiana.

Arte e letteratura in Via del Vento_Pistoia_
fotografia di Claudia Ciardi ©


* Hermann Broch, Il ritorno di Virgilio, cura e traduzione di Claudia Ciardi, Via del Vento edizioni, novembre 2022

* La pubblicazione è depositata nell’archivio del Teatro Stabile di Torino

Storie editoriali, sogni di persone

Edizioni storiche Sansoni e Vallecchi_foto di Claudia Ciardi ©

Un libro non è solo ciò che racconta. È fatto anche di una storia che lo precede, spesso anzi di molte storie. Nasce dai sogni di chi intende salvare un messaggio, di chi crede per quella via di contribuire alla rappresentazione del mondo. E poi ci sono intenti, affinità elettive, sintonie caratteriali che si scoprono in corso d’opera, destini che si intrecciano. Idee e persone impegnate a difendere legami, memorie, bellezza. Ogni cosa contribuisce all’impresa, in letteratura, come in arte, come nella musica. Il libro è una straordinaria condensazione di tutte queste sintonie.

Lo scorso autunno Laura Vargiu, divulgatrice infaticabile di letture e scritture, poetessa in organico alla giuria di diversi premi letterari, fondatrice del blog «Il ponte delle parole», ha pubblicato un invito alla riscoperta dei “libri antichi”. Ne è scaturita una riflessione che mi ha fatto nuovamente calcare le orme di alcuni progetti editoriali. Storie che ho avuto modo di vagliare durante le mie ricerche, in fase di collazione testuale o nella ricostruzione dei processi di stampa relativi a un titolo. Sono così affiorate tra le mie mani le vicende di giovani studiosi nell’Italia del secondo dopoguerra, fra Milano e Firenze, ma anche di personalità resistenti mentre il conflitto ancora imperversava. Episodi testimoniati da corposi epistolari nei quali è possibile seguire in dettaglio sodalizi e collaborazioni. La vita piena d’impegno di Lavinia Mazzucchetti, gli incroci, anche sentimentali, fra Cristina Campo e Leone Traverso oppure, andando ancora più indietro, la piccata corrispondenza di un D’Annunzio che lamentava con Fischer le imprecisioni nella traduzione tedesca della propria opera. Alle altisonanti rampogne del vate Fischer replicava sempre composto, misurato. Schermaglie fra signori d’altri tempi. In ciò riemergono le avventurose iniziative di Cederna, Lerici Editore, Ricciardi Editore, Vallecchi, Sansoni.

Riscoperte di Laura Vargiu nella storica collana economica di Rizzoli
A commento delle proposte editoriali di Laura Vargiu


Visionando alcuni dei titoli “antichi” che Laura Vargiu aveva nell’occasione riproposto, sono quindi tornata a pensare al libro come oggetto d’arte; non solo nel senso della rarità e del pregio di un’edizione, ma anche e forse più in quanto deposito evocativo di sensibilità. Del resto, la devozione di Laura per mercatini e piccole botteghe di librai indipendenti mette in luce proprio questa prossimità, le relazioni di un microcosmo sentimentale fatto di luoghi un po’ eccentrici e dei loro altrettanto estrosi custodi-cultori. Questi antri votati alla meraviglia sono vere e proprie isole di collezioni diffuse, snodi dove si riscoprono tesori perduti.

Chi non ricorda i vecchi libri Rizzoli, fra i primi tascabili economici, dalle copertine minimaliste: titolo-autore a caratteri neri su bianco (ingiallito) in carta grezza. I nostri genitori hanno adornato gli scaffali delle loro librerie con questa collana o con i primitivi Oscar Mondadori o con la mitica Medusa (sempre Mondadori). Chi non ha avuto in casa tutto il primo Pavese pubblicato da Einaudi?

Uno sguardo alla Medusa_immagine tratta dal blog di Maremagnum

Scelte editoriali non allineate, inattese, visionarie nella prima Piccola Biblioteca Einaudi

Storie, si diceva all’inizio. Di coloro che i libri li hanno pubblicati e del privato di tanti lettori. Nelle mie più recenti ricognizioni mi sono spesso soffermata su questi contatti emotivi, perché prima del conoscere (e del conoscersi) è il sentire, è l’attrazione per qualcosa che percepiamo somigliante a determinare la scelta di un percorso, un avvicinamento, quel travaso necessario a dar forma concreta all’immaginazione. Perché certe cose ci sollecitano, dunque «si fanno sentire prima di farsi conoscere» (per dirla con Yves-Marie André). È peraltro il tema di un bell’articolo sull’esperienza artistica che mi è capitato di leggere proprio in questi giorni. «All’utilità dell’erudizione son sempre più convinto debba precedere, succedere o accompagnarsi “il compiacimento de’ sensi, e il diletto delle passioni”», conclude l’autore. E infatti, ogni opera creativa non può compiersi né veramente diffondersi senza il più sincero e profondo attaccamento al sogno dell’arte.

Altri rimandi:

Non basta l’erudizione, l’arte deve scuotere i sensi (di Maichol Clemente su «Il Giornale dell’Arte», 1 febbraio 2023)

Uno sguardo alla Medusa (sul blog di Maremagnum)

Johann J. Bachofen – Il popolo licio (su un’edizione storica Sansoni)

In questo sito, la pagina dedicata ad alcuni miei percorsi nell’editoria: Mappe editoriali

Tra gli ultimi articoli dedicati da Laura Vargiu alle mie pubblicazioni si segnalano:

Hermann Broch e il suo “Il ritorno di Virgilio”

“Muor giovane colui ch’al cielo è caro”: in ricordo di Georg Heym

In ricordo di Konstantinos Kavafis: l’importanza delle parole

Circumnavigarte

La scelta non poteva cadere su un’immagine più felice. Swanbook e “Il Sirmionelugana” attraverso l’antologia dei poeti vincitori, premiati e menzionati del 2022 rendono omaggio all’idea della navigazione, metafora longeva e potentissima, per una lode alle arti che ha il suo centro nella riviera gardesana.
Un battello che salpa dalle acque del lago per unire idealmente mondi, energie, aspettative, simbolo di pace e di rinnovata (e ritrovata) creatività.
Fra gli autori che la giuria ha ritenuto meritevoli di essere premiati, il libro contiene tre delle mie poesie in concorso.


L’antologia è disponibile in prevendita sul sito della casa editrice e nei principali canali dedicati alla distribuzione editoriale.

* Il Sirmionelugana 2022, AA. VV., antologia del Premio letterario, Swanbook, 2022, ISBN 979-10-80357, € 11,00

Si veda anche: Navigazioni d’arte e poesia