«Una vita nuova di poesia e di sogno»

Prendo in prestito le parole che Cesare Pavese rivolgeva alla sua amata, o forse a un’idea di amore letterario e superno, un rigo in cui risuona peraltro anche la traccia dantesca dell’aspirazione a una vita mutata in virtù dell’esperienza sentimentale, per gettare qualche appunto sulle mie ultime divagazioni. In un ciclo di saggi di teoria linguistica in accompagnamento alla mia opera poetica, mi sono riaffacciata alle suggestioni della saggezza oracolare ellenica e alla dimensione dei santuari come centri di cura, in cui la parola era un’espressione della volontà teurgica del dio.

Si dice che questa presenza scendesse nel cuore, l’organo della risonanza, e da qui dettasse i propri responsi al suo messaggero terreno. Di solito una figura femminile che si riteneva dotata di particolari attitudini sensitive. In tale manifestazione subitanea e incontrollata del divino si può cogliere forse una prima ombra della poesia, il suo primo spirito – nel senso etimologico di spiritus, respiro. Soffermarsi, accordare il proprio soffio vitale a queste cadenze, è un po’ risvegliarsi a nuova vita, abbracciando sensibilità di segno opposto rispetto alla nostra quotidianità.

Nel ripercorre simili tracce mi è capitato di sfogliare il resoconto di Dino Baldi sulle strutture sacre che in Grecia hanno visto il compiersi di guarigioni e prodigi. L’autore definisce il suo sguardo un «gioco paradossale della Grecia fuori dalla Grecia». Sempre per quel cortocircuito fra pensiero e realtà da cui l’Ellade agli occhi dei puristi era «un paese abitato da slavi bizantinizzati e corrotti dall’Oriente». Il viaggiatore che vi si fosse avventurato, anche in tempi non sospetti, molto prima della cosiddetta decadenza imperiale e levantina, correva serio pericolo di restare deluso quando ad andarne di mezzo non fosse la sua incolumità. Il poeta Virgilio, già minato nel corpo, non solo non trovò quello che pensava ma poco dopo essere sbarcato al Pireo rimediò un’insolazione che gli fu letale; a Byron secoli dopo non andò meglio.

Cosa cela dunque ancora questa terra misteriosa, affascinante e tremenda, che si tiene tutto per sé?

«Prima di tutto gli oracoli, porte di comunicazione fra dei e uomini; ma anche i luoghi che i greci, senza distinzione di etnia, riconoscevano come patrimonio comune e rappresentativo della propria identità: i santuari e le sedi dei giochi panellenici». (Dino Baldi)
I resti di un tempo in cui terreno e ultraterreno si cercavano e riuscivano a incontrarsi, anche senza cercarsi, dove mitologia e rituale riempivano di senso l’ordinarietà.

E oggi? Ci sono i greci del Ponto e quelli dei Balcani. E c’è una ruvidità di fondo nel carattere greco – intensità e asprezza – in cui anch’io mi ritrovo. Indocile fierezza si potrebbe dire, un temperamento sfaccettato con cui è difficile fare i conti e che mi suscita un’immedesimazione profonda. Scherzando con la mia amica Androniki mentre mi preparava il caffè e, prima ancora del caffè, il beneugurante dolcetto dell’accoglienza, le dicevo che la nostra complicità era senz’altro il frutto di una vita precedente. Di sicuro ci eravamo incontrate in un bosco della Tracia o giù di lì. Due indomite, polemiche, sognatrici. L’esperienza tutt’altro che tranquilla con la Grecia moderna, che per inciso è figlia di una dominazione turca di quasi cinque secoli dal notevole riverbero anche nella lingua, mi ha forse costretta precocemente a prendere le distanze dal perfezionismo apollineo. E con ciò a guardare più a fondo anche in me stessa; le somiglianze con il carattere contraddittorio e tumultuoso erano ben più di quelle, insussitenti, con gli scatti da cartolina. Qualcosa di ben lontano dai tratti ideali e idealizzati, dalle radiose sintesi dei manuali, dal candore dei reperti. Una landa propensa all’enigma e alla fatalità, che attrae un’epica di delitto, castigo e rinascita, dove nel sangue versato non si fa largo solo la morte ma un divenire estremamente vitale e contraddittorio di creature ribelli, esseri magici destinati a imprese sconcertanti e magnifiche, in cui non per caso un giorno dagli zoccoli di un cavallo è scaturita la fonte dei poeti.

Dino, Baldi, Marina Ballo Charmet, Oracoli, santuari e altri prodigi. Sopralluoghi in Grecia, Quodlibet Humboldt, 2013

Si rimanda anche al mio promemoria su Linkedin – Shrines and Healing

L’Amaryllis di Niki e il nostro comune sogno greco in arte e poesia

Claudia Ciardi: «Revue européenne de recherches sur la poésie», Classiques Garnier, Parigi, n° 10, 2024, pp. 275-285: Oracoli e poesia. Voci sacre all’origine del mondo. L’esordio della poesia nelle pratiche oracolari e il potere terapeutico della parola

Rosa Rosae

Giardino e roseto dell’Esquilino – Roma

Fiore fra le simbologie più complesse e stratificate nel tempo, mitico e storico, incarnazione di contrasti e ambivalenze, al centro di riti, oggetto di credenze e incantesimi, amato da fate e streghe. La presenza della rosa nelle fiabe risale all’epoca medievale, e le qualità magiche che le sono attribuite derivano senz’altro dall’antica associazione alle divinità. Ad esempio nella storia che lega Adone e Afrodite. La dea della bellezza, depositaria di aspetti che la uniscono alla grande Madre, deterge un olio profumato di rose sul corpo di Ettore morto. Gli aspetti ancestrali del femminino, della maternità cosmica, della vita e della sua cura, anche nella morte, si intrecciano alla rosa, alla sua essenza, al suo linguaggio. A tale proposito, nel dualismo di vita e morte, affiorano pure analogie con Ecate, dea infera, conduttrice di anime (psicopompa), e con Iside; nella ventata delle mode orientali della tarda latinità, la devozione isiaca, frutto di sincretismi religiosi, acquista seguaci anche nelle classi agiate. Ne è oggetto il famoso capolavoro di Apuleio, Le metamorfosi note anche come L’asino d’oro. Gli antichi riti funebri in memoria dei morti si chiamavano Rosalia, da cui si sarebbe ereditato l’uso di deporre rose sulle sepolture. Trattandosi di un rituale con ascendenze asiatiche, si ipotizza che a introdurlo a Roma siano stati i commercianti di lungo corso attivi nelle province orientali. Secondo altre ipotesi, invece, le Rosalia nacquero sotto l’impero di Augusto, importate dalla Gallia Cisalpina. C’è chi sostiene che era una pratica diffusa soprattutto tra i militari, che utilizzavano le rose per onorare, in mancanza dei familiari, i loro compagni caduti.

Comunque stiano le cose, un fatto è certo: i romani ogni anno tra il 10 e il 31 maggio si facevano carico di queste festività per onorare chi non c’era più.

A conclusione di quanto detto sin qui, il legame preferenziale con le dee, la sfera sentimentale e sacra, ne ha fatto per antonomasia il fiore del femminile e della femminilità, fisica e spirituale, di cui accoglie e riflette il segreto e il mistero.
I ragazzi iniziano a declinare il latino sillabando il nome della rosa, che è canto già nel susseguirsi di quelle desinenze. Dalla Grecia omerica e arcaica, dove l’aurora ha dita di rosa, a Cielo d’Alcamo e poi ancora nella poesia rinascimentale e barocca, la sua celebrazione in versi non conosce inaridimenti. Fragile quanto longeva e salda, la troviamo disseminata nelle opere letterarie e in quelle d’arte, ritratto di un inscindibile connubio fra sensibilità poetica e figurativa.

Il moto concentrico dei suoi petali rappresenta la ruota del ciclo vita-morte-vita. La rosa è coppa e femmina che conserva e presiede l’eterno ritorno. Attraverso un percorso culturale molto lungo e sfaccettato, dai Pitagorici al romanzo ellenistico – vi si è accennato con Apuleio che a quelle fonti attinge – la rosa diventa l’emblema del segreto (sub rosa) nell’immaginario alchemico ed ermetico.

Link:

La compagnia delle rose

Natura sensitiva – Il fiore e il segreto

Le Rosalia. Feste delle rose

Roseto all’Esquilino
Giardino del Quirinale
Roseto comunale di Roma
Roseto comunale di Roma – Visitabile liberamente fino al 16 giugno

Fotografie di Claudia Ciardi ©

Echidne, Meduse, monili – Dal mito a El Greco

Un immaginario complesso e longevo che attinge ed elabora i propri connotati nel periodo arcaico – con probabili ascendenze micenee – insinuandosi in quello classico. La Grecia delle Gorgoni e delle Erinni, come anche di molte altre creature notturne e ctonie di dubbia e problematica interpretazione, smentisce la predominante apollinea in questa cultura e non solo. Ne configura una luminosità enigmatica, sempre oscillante fra inquietudine e catarsi. Una condizione sospesa che l’essere umano è chiamato ad attraversare, in quanto parte del suo stesso dissidio. Retaggio che ha esercitato il suo fascino nei secoli e nelle arti, trovando diverse vie di rappresentazione oltre a uno straordinario vitalismo nella cultura popolare. Si dice che i ritmi della taranta, area di pertinenza magnogreca, siano il riflesso di questa medesima duplicità. La mano che percuote il tamburello richiama all’ordine cosmico, peraltro con un gesto di lieve rotazione e contrazione dal palmo alle dita a indicare raccoglimento (ritorno), continuamente messo in discussione dal vibrare dei sonagli, moto sussultorio, tellurico che ricorda lo strisciare o il destarsi delle serpi nella chioma di Medusa, l’unica mortale fra le figlie di Forco.

Dettaglio del busto di Medusa di Gian Lorenzo Bernini_1644-1648 // Probabilmente lo scultore intese immortalarvi l’espressione della sua amante Costanza Piccolomini. Una Medusa dunque più che umana

Volto della paura e della seduzione ha ispirato creazioni vertiginose nella statuaria, in pittura e nell’alta gioielleria. Bulgari, proprio in queste settimane, ha dedicato una mostra alle sue collezioni, per celebrare i settantacinque anni del marchio, scegliendo Milano come unica tappa mondiale di questa storia mitologica e artistica. Al centro l’iconografia del serpente, simbolo di mimesis, adattamento, rinascita e rigenerazione. Un brand di lusso che ha scelto di raccontarsi in modo non convenzionale, cercando un’ampia apertura verso il pubblico e mostrando l’apporto delle nuove tecnologie nel lavoro dei propri creatori, incluso il confronto con l’intelligenza artificiale (Dazio di Levante in Piazza Sempione, fino al 19 novembre, con ingresso gratuito). Questo singolare intreccio dal mito antico, fin dalle sue radici egizie, alla contemporaneità ha dato luogo a un evento ricercato quanto inedito, una tipologia di mostra con esperienze immersive che permettono di toccare letteralmente con mano la narrazione.

Bulgari_75 Infinite Tales_Un particolare dall’allestimento (ottobre-novembre 2023)

Sempre a Milano, spostandoci fra le sale di Palazzo Reale, nell’ambito della mostra in corso su El Greco, ci troviamo a tu per tu con la sua impressionante versione del Laocoonte. Il celebre gruppo del sacerdote troiano che va incontro alla morte con i propri figli, avvinti da serpenti marini, mentre un’indecifrabile quanto impassibile Toledo, città dalle atmosfere ermetiche, quasi una Siena spagnola, campeggia in una delle sue tele che suscitano forse i maggiori interrogativi. Incompiuta, unica opera di soggetto mitologico per questo eccentrico artista, sappiamo che la tenne con sé fino alla morte. In un ulteriore raffronto sulla storia di questo motivo la riproduzione in gesso, proveniente dalla gipsoteca dell’Università di Pisa, dell’originale ellenistico custodito nei Musei Vaticani, alla base dell’onda lunga di imitazioni in scultura e pittura dal Rinascimento in poi (si pensi a quello altrettanto celebre eseguito in marmo da Baccio Bandinelli nel 1520, alle Gallerie degli Uffizi).

El Greco, Laocoonte, 1610-1614, Milano – Palazzo Reale (2023)
Riproduzione in gesso del gruppo statuario del Laocoonte dalla Gipsoteca e Antiquarium dell’Università di Pisa // Prestito per la mostra di El Greco a Milano (2023)

Simbolismo del sacro e del profano, enigmaticità, magnetismo sprigionato da fascino e inquietudine. Filiazioni divine e caratteri rituali, talora difficilmente ricostruibili, in bilico fra contatti figurativi, diffusione in diversi ambiti sociali, ricorrenza o sovrapposizione di narrative. Ad esempio, la prossimità di Gorgoni ed Erinni, liquidata come improbabile da Vernant (si veda il suo saggio Figure, idoli e maschere, in particolare le pagine 75-102, dove descrive diffusamente l’Erinni Tilfussa) e che io ho provato invece ad ipotizzare fin dal mio lavoro di tesi.   

Richard Buxton_La Grecia dell’immaginario_I contesti della mitologia_capitolo 1, “Dalla culla”

Un discorso affascinante che si muove su diversi piani della ricerca, oltre a costituire una materia di per sé molto coinvolgente per chi la affronta, da studioso o da semplice appassionato. Un racconto che s’innova, un’espressione culturale dinamica e versatile che aggiunge mutazione a mutazione e che pure nell’atto stesso di rappresentarsi espande i confini dell’immaginario di riferimento. Qualcosa che per il fatto stesso di originare dagli strati più profondi dell’interiorità umana, non smette di destare la nostra attenzione e interpellarci. Una capacità generativa fuori dal comune, che di sicuro attiene al mito stesso, ma che al contempo lo trascende, modernizzandolo, favorendone l’adattabilità a contesti mutevoli e storicamente diversi.

Dalla mostra di Bulgari (Milano 2023)_Dettaglio della Gorgone

Sul simbolismo del serpente_dall’allestimento di Bulgari (Milano 2023)


* Fotografie di Claudia Ciardi ©

Si veda anche:

Guardare la Gorgone

Ibico – Un canto di primavera

Nella poesia lirica corale Ibico (570-522 a.C. circa) occupa una posizione di rilievo. Reggino, appartenente a una famiglia aristocratica, si formò alla scuola del siciliano Stesicoro. Definito come uno dei primi poeti itineranti, soggiornò a Samo, alla corte del tiranno Eace e di suo figlio Policrate. Qui incontrò un altro celebre poeta greco, Anacreonte. Sarebbe stato anche un inventore (e costruttore) di strumenti musicali, tra cui un tipo particolare di lira detto sambuca (così Ateneo di Naucrati, IV, 175).

Secondo una leggenda, morì a causa dell’aggressione di un gruppo di malviventi inseguiti e scovati da uno stormo di gru, grazie a cui il poeta fu vendicato.

Proponiamo qui un suo celebre canto, il fr. 286 P, nella mia traduzione, in quella di Filippo Maria Pontani, per la raccolta dei lirici greci di Einaudi, e infine nelle raffinate rese del filologo Gennaro Perrotta e del poeta Salvatore Quasimodo, per me impareggiabile interprete delle voci greche.

La primavera è una forza vitale che scorre come linfa dentro ogni creatura. Per l’essere umano è il risveglio di Eros, una dirompente bufera, implacabile e drammatica (ἐρεμνὸς ἀθαμβὴς) che scuote e rimescola nel profondo. Si sente qui un’eco di Saffo (fr. 47 Voigt), dove amore è il vento di montagna che precipita nel bosco.

In primavera i meli 
cidonii dalle correnti dei fiumi
abbeverati, dov’è intatto
il giardino delle ninfe,
e i tralci dal sogno nutriti
degli ombrosi germogli, danno il fiore;
né in me amore riposa.
Ma gravido come il vento di Tracia
viene, dai lampi acceso
da Venere ispirato
intrepido, tenebroso scagliando
l’affilata pazzia, e sempre
potentemente il cuore ci sorveglia.

(Traduzione di Claudia Ciardi)

*I meli cidonii sono i meli cotogni. In greco antico prendono il nome dalla città di Cidonia sulla costa settentrionale dell’isola di Creta.

*Il tracio Borea è il vento del nord, la tramontana.

Ibico, fr. 286 P / Testo originale e traduzione di Filippo Maria Pontani da Lirici greci, a cura di Simone Beta, traduzione di F. M. Pontani, Einaudi, Torino 2008

A primavera i meli cotogni,
bevute l’acque vive dei fiumi,
fioriscono nell’inviolato
giardino delle Vergini;
sotto i tralci ombrosi dei pampini
fioriscono i fiori della vite.
Ma per me non dorme Amore
in nessuna stagione:
come la bora di Tracia infiammata di folgori,
così, messaggero di Cipride,
s’avventa con le sue follie ardenti
tempestoso, sfrenato: dalle radici
possiede l’anima mia.

(Traduzione di Gennaro Perrotta)

La versione di Salvatore Quasimodo pubblicata su “Pagine di poesia” / fb

Murales in parole greche – marzo 2023 / fotografia di Claudia Ciardi ©

Incantare. Simboli e figure del magico

Pagina d’illustrazioni tratta da “La magia a Roma”, articolo pubblicato su Storica (National Geographic Italia), luglio 2022

Mentre raccolgo qualche idea sulle tracce della cultura magica nel mondo antico, mi capita di leggere un articolo che mette in guardia da possibili risvolti patologici nel cosiddetto pensiero magico compulsivo. Tutti questi seriosi sostantivi così inanellati mi frastornano; forse l’avvisaglia patologica sta proprio in un lessico così ruvido e respingente. Si dice poi che bisogna fare attenzione a stanare questi sintomi già nei bambini. Un bambino ‘troppo fantasioso’ va monitorato e disinnescato. Che asettica in-civiltà la nostra! Ci sarà anche il rischio di qualche scivolamento psichico, ma si corre pure un pericolo altrettanto grave – se non peggiore – di sterminare degli ingenui moti e bisogni interiori, che sono forse il primo e unico mezzo per un bimbo di comunicare col mondo. Un mondo che può fargli sempre più paura e in cui vorrebbe trovare qualcosa di affascinante (non uso casualmente questa parola, ma la intendo come preciso rimando all’idea del fascino e dell’affatturazione).

Si capisce perché gli studi sull’antichità vivano oggi un momento assai impopolare. Greci, romani, persiani, egiziani erano immersi in simili credenze – certo erano società molto superstiziose, anche – ma avevano di sicuro più rispetto di noi per il dono dell’immaginazione.

Mi ha sempre suscitato apprensione chi attacca qualcuno solo perché si diverte a leggere un oroscopo. Che è peraltro un piacevolissimo divertissement, e oltretutto ci sono astrologi che hanno una capacità di scrittura più fine di altri compunti letterati à la carte. Insomma, l’intolleranza nei confronti della leggerezza, verso aspetti per così dire non immediatamente utilitaristici del vivere, la ritengo molto pericolosa. Fiutare il morbo dappertutto, perfino in un ingenuo momento di ‘piacere magico’ scaturito dal trafiletto astrale di una rivista, cela un intento persecutorio. Così, mentre diciamo di difendere la razionalità, siamo i più irrazionali e maniacali.

Nel mondo antico divinazione, interpretazione dei sogni, poesia, incantesimi e rituali religiosi, astronomia e astrologia erano aspetti vicini, in armonica fusione e comprovata confusione. Certo, non tutto era lecito. Anzi, le leggi sui sospettati di praticare malefici, di utilizzare le proprie conoscenze mediche e botaniche per fabbricare veleni, di attentare alla vita o ai beni altrui con mezzi occulti, erano severe e le punizioni contemplavano fino alla pena di morte. Emblematico il caso delle XII Tavole, il primo corpus giuridico latino. Secondo le autorità la magia era capace di provocare conseguenze nella vita reale, di qui la codifica di norme a protezione dei cittadini. Il pantheon greco-romano annoverava non a caso alcuni dei associati alla dimensione magica, come Hermes, il messaggero divino, che poteva viaggiare fra terra e aldilà, o Ecate, dea della notte e della stregoneria.

Nel periodo imperiale è noto il caso del romanziere Apuleio che non nascose la sua dedizione per le pratiche di magia – probabilmente si interessò ai misteri di Mitra, che dal I secolo a. C., con il ritorno delle legioni da oriente, conobbero a Roma larga diffusione. La stessa religiosità misterica con le sue implicazioni rituali intessute di prove da superare e catarsi finale sono per l’appunto al centro della sua maggiore opera letteraria Le Metamorfosi (o L’Asino d’oro).

La parola mago viene dal greco magos (μάγος) con cui si indicavano i Magi, sacerdoti persiani esperti in arti magiche, ma allo stesso tempo dotti in matematica e medicina. Quella legata ai culti magici è dunque una storia molto longeva che connette fasi diverse delle civiltà antiche nonché spazi geografici alquanto vasti, dalle satrapie orientali all’occidente. I greci ad esempio assimilarono la tradizione egizia di scrivere su piccoli fogli di papiro gli incantesimi, ai quali si accompagnavano ricette o pozioni a base di rare piante esotiche. Celebre l’opera di Fritz Graf, filologo e grande specialista delle religioni antiche, che ha raccolto, analizzato, ricostruito moltissimi aspetti della magia nel mondo greco e romano.

Per gli antichi la parola sprigionava un potere straordinario, cosicché era il medium per eccellenza dell’incantesimo. Una parola plasmata in versi, intonata, cantata. Qualcosa che poteva insinuarsi nella volontà, nel più intimo sentire di qualcuno e fin dentro i suoi sogni, intesi come catalizzatori di desideri, fantasie, disvelamenti; non semplici illusioni notturne ma spazi veri e propri in cui abitava l’anima.

In ambito artistico si segnala una produzione variegata e meravigliosa di oggetti magici dei quali gli amuleti sono forse i manufatti più bizzarri. Teste teriomorfe o figure mitologiche (la Medusa è forse la più frequente) sono al centro di rinvenimenti diffusi in tutte le aree occupate dalla civiltà ellenica e romana. Simili suggestioni si sono tramandate fino ai giorni nostri. Il volto della Gorgone in quanto simbolo ipnotizzante e apotropaico – quindi anche intriso di qualità magiche – ha avuto larghissima fortuna, come soggetto indipendente nelle rappresentazioni d’arte e perfino come logo aziendale. Si pensi alla casa di moda Versace che ha unito la Medusa (scelta dal fondatore Gianni) al leone (idea di Donatella) per la proposta commerciale delle sue produzioni. Entrambe queste creature sono infatti associate a vari livelli nella ritualità romana, portatrici di messaggi ctoni e ultraterreni.

Inchiostro Medusa_ditta Gio Diletti di Brisighella // Adoro questa bottiglia vintage / fotografia di Claudia Ciardi ©

La magia nell’antica Grecia e a Roma – Articolo di Eleonora Fioletti su Frammentirivista

Risolto il mistero della testa di toro nella vasca magica etrusco-romana di San Casciano dei Bagni – Su StileArte

I leoni antichi – simbologia – Museo Monteleonesabino

L’antropologia letteraria di Carlo Levi

Η Ελλάδα είναι η ανατολή μου

Arnold Böcklin, Euterpe, 1872
Hessisches Landesmuseum, Darmstadt

La Grecia è il mio oriente. L’oriente come dimensione dell’anima, che è ἄνεμος [ánemos , soffio, vento, passione].. Una patria letteraria, utopica e tuttavia, se si vuole parli davvero a chi la contempla o l’attraversa, proprio nella sua forza immaginativa, è chiamata ancor più a confrontarsi con le sue radici reali.

Mentre la nostra cultura al di qua del mondo spesso tende a guardare l’altra riva sotto l’influsso di luoghi comuni, selezionando aspetti addomesticati e funzionali a confermarne sostanzialmente la propria estraneità. Insomma all’occidente, quindi a una cospicua parte della cosiddetta nostra intellighenzia, piace solo quel che la rassicura e rinsalda nelle sue posizioni.

Che questa lettura delle culture orientali sia parte integrante della storia del nostro pensiero è un fatto. Ed ha pure il suo bello e ha espresso un potere creativo che merita di essere ulteriormente esplorato. Si vedano i tanti volti assunti dall’orientalismo in Germania fra Ottocento e Novecento. E ancora, la questione orientale sempre accesa e fluttuante nella politica dell’impero asburgico, tra assimilazione delle culture est europee e penetrazione balcanica, in una catabasi-anabasi fino alle porte greche e ottomane.

Il rischio è tuttavia scambiare la storia del pensiero con le forme e i contenuti reali, perdendo di vista le vere implicazioni di un incontro basato su aspetti che non si ammantino di abbellimenti strumentali o travisamenti.

La mia traduzione di Konstantinos Kavafis simbolicamente ha inteso ripercorrere queste tracce. Perché la Grecia moderna è reale, col suo portato di cultura e di storia che affonda sì nella classicità ma che trae il proprio respiro anche da molte altre presenze. Aggiungo che la Grecia antica e moderna bisogna farsele spiegare dai Greci.

Nell’occasione del recente anniversario di questo autore, la cui vita incrocia per l’appunto diverse patrie orientali, ricordo alcuni degli ultimi contributi dedicati al mio studio. Sofia Cacchi («Pangea. Rivista avventuriera di cultura & idee»), Annarita Celentano («Mangialibri»), Laura Vargiu («Zona di disagio» e «Il ponte delle parole»).

Altro qui:

Konstantinos Kavafis (rassegna stampa)

Germania e orientalismo

Avanguardia russa – La prima volta della collezione Costakis in Italia (Torino)