Cassiopea e Cigno – Ingresso del Museo Italiano di Scienze Planetarie a Prato
L’ultima notte di gennaio capita di fare sogni importanti. Qualcosa improvvisamente sgorga nel bel mezzo dell’inverno. Una volta risvegliati, nell’apparente chiarezza del giorno, si passa accanto a sempreverdi ricoperti di un rossore tenace e prorompente. Un’architettura eclettica si affaccia fra i rami come una metafora del tempo scagliato da qualcuno che voleva fissare lì il suo sogno. Tuttavia non è spesso ben definito il confine fra la cosiddetta realtà in veglia e quella sperimentata durante il sonno.
Nell’antica Grecia i medici erano non casualmente anche studiosi e interpreti di sogni, che si ritenevano sia generati dallo stato di salute del paziente, sia inviati da mondi ultraterreni, perché il corpo è un cosmo dove le condizioni fisiologiche possono esser lette come uno specchio delle leggi che governano l’universo. A testimonianza di queste affinità elettive, il flusso di particelle che alimenta il vento solare è denominato plasma – uno stato della materia che costituisce la quasi totalità dello spazio celeste e che sulla terra si trova naturalmente nei fulmini e nelle aurore boreali.
L’anno si è chiuso con una straordinaria attività elettromagnetica sul sole che ha generato per l’appunto altre aurore a basse latitudini, replicando in parte lo spettacolo dei primi di ottobre, quando il brillamento ha raggiunto un’inedita intensità che non si registrava da almeno sette anni. È bello pensarsi in questo meccanismo meraviglioso, e per il fatto che lo condividiamo, anche senza essere vicini, è come se andassimo all’unisono. Quello che immaginiamo, quello che realizziamo attraverso le nostre risorse creative e attitudini, tutto ciò che doniamo è amore che irradia da infinite profondità.
* Negli ultimi giorni di agosto del 1918, mentre la prima guerra mondiale volgeva al termine e l’epidemia di spagnola aveva iniziato a mietere altre vittime, il pittore, incisore e filosofo Rockwell Kent approdò nella piccola isola di Resurrection Bay, al largo delle coste dell’Alaska, per un incontro autentico e assoluto con la natura, lontano dalle devastazioni della cosiddetta civiltà. L’opera “Wilderness. A Journal of quiet Adventure in Alaska” è il frutto di quell’esperienza straordinaria. Per un approfondimento sulla vicenda umana e artistica di Kent si rimanda al bell’articolo di “The Marginalian”
* Polarlichter – Luci del nord – Aurore boreali 1. Cromolitografie di fine Ottocento; 2. Harald Moltke (1871-1960), pittore danese.
* Le luci di Livorno e della pittura di Ulvi Liegi nella mostra curata da Michele Pierleoni allestita negli spazi della sede di rappresentanza di Castagneto Banca. Grazie a Roberto Pullerà per aver accolto la mia richiesta di visita, regalandomi questa emozionante esperienza. Ascoltare un pezzo di storia dell’arte labronica che ha riesumato l’esistenza picaresca di mercanti, corniciai, falegnami e cabalisti come i leggendari Elia Benamozegh e Yoseph Colombo è stato folgorante.
Il fatto che molti luoghi nel ponente ligure trasmettano piuttosto intensamente la sensazione di una longeva e stratificata storia culturale, è qualcosa che posso testimoniare di persona e che segna in modo significativo l’incontro con queste realtà. Aggiungerei che l’idea di una simile densità emotiva lambisce il visitatore con sorprendente immediatezza e deriva a mio avviso da una singolare alleanza che qui si sperimenta fra realtà e surrealtà; si ha come l’impressione di toccare con mano qualche eco risalente da chissà quale lontananza. Mi spingo anche ad affermare che pagine luminose e fondamentali di molta poesia novecentesca non possono essere comprese se non si è trascorso del tempo proprio in simili località. È un tema a me caro e che ho portato all’attenzione in alcuni miei scritti. Non solo il più spesso citato Eugenio Montale, ma penso anche alla cosiddetta scuola di cantautori genovesi (la poesia-canzone), o a Paul Valéry. Sarà che sua madre Fanny Grassi era italiana, figlia del console italiano Giulio Grassi, originario di Genova, sarà l’influsso biologico e il legame affettivo ad aver contribuito alla sensibilità del poeta francese: è innegabile che certe sue immagini siano semplicemente e maestosamente liguri. I versi del Cimitero marino non si sarebbero depositati in me con altrettanta limpidezza, se non mi fossi fermata a Sanremo e non ne avessi visitato le intime e antiche sepolture a due passi dal litorale. E penso pure alla luce di Bordighera e ai suoi stessi sepolcri, quasi un monumentale giardino pensile ancora italiano ma per certi versi anche già francese.
Sezione dei tarocchi alla mostra Calvino cantafavole, Genova, Palazzo Ducale 15 ottobre 2023 – 7 aprile 2024
Dunque, si va per immergersi nelle bellezze paesaggistiche e si scoprono personalità ingegnose che hanno animato e fatto la fortuna di molti abitati. Tornando a certi percorsi finalesi, occasione che di recente mi è stata offerta durante un mio passaggio alla mostra di Genova, Calvino cantafavole, ho avuto modo di recuperare la poesia di un cosmo sfaccettato e affascinante, venendo a conoscenza di aspetti di cui poco o nulla sapevo. Leggere infatti che proprio a Finale Ligure è nata la prima versione a stampa dei tarocchi, le carte del “gioco della vita” che tanta parte degli immaginari letterari hanno influenzato compreso quello calviniano, mi ha stimolata ad approfondire ulteriormente glorie e splendori del borgo. Del resto, la notizia del primato editoriale in una simile impresa non può lasciare indifferenti. Tanto da apparirmi come una sorta di crocevia universale, quasi che il gioco e la divinazione legati all’uso di queste singolarissime carte dipinte, fossero una metafora di tutte le arti e, in conseguenza, di tutte le possibili eccentricità riunite a tali latitudini. Ciò che ho scoperto non ha smentito la mia prima impressione.
Pannello esplicativo affisso nella sala dei tarocchi alla mostra Calvino cantafavole, Genova, Palazzo Ducale 15 ottobre 2023 – 7 aprile 2024. Nell’ambito delle celebrazioni del centenario dello scrittore sanremese
Si è svelato un ritratto di cosmopoliti, bibliofili, esoteristi e astronomi che in una non ben precisata epoca installarono un primo rudimentale osservatorio sulle alture dell’entroterra. Un sito che dall’altopiano delle Manie al mare offre vedute spettacolari affiancate a un patrimonio artistico dal quale si evince una continuità territoriale rilevante in termini di presenze e memorabilia. Basti pensare che alcune grotte sovrastanti l’insediamento pare fossero occupate fin dal paleolitico. In età moderna, fra i notabili e possidenti locali, salta agli occhi la vicenda di Alfonso II Del Carretto, marchese di Finale, dove nacque nel 1525 per poi morire a Vienna nel 1583. La singolarità dell’uomo non sta solo nell’aver saldato un pezzo di storia ligure su quella mitteleuropea, legandosi in particolare alla capitale asburgica cui riservò trasferte sempre più frequenti fino all’espatrio e alla richiesta d’aiuto presso l’imperatore a causa delle minacce subite dal suo potentato. Ma il personaggio è ancor più degno di nota per essere stato l’artefice di un’avventura sapienziale di grande rilievo, ossia la raccolta di un cospicuo fondo manoscritto che servì ad istituire una ricca e sorprendente biblioteca. Il progetto infatti è il riflesso degli orientamenti, dei gusti e delle intenzioni di un uomo consapevole dell’incertezza della propria condizione di semi-esule e quindi esule, che credeva di rimpatriare ma senza esserne sicuro. Ciò che comunque lo ha ispirato in tutte le sue acquisizioni è stata l’idea di raccogliere una documentazione d’uso per la famiglia e ancor più per il marchesato. In sostanza, un disegno lungimirante che aspirava a caratterizzarsi come opera pubblica. Lo studio filologico della nota che raccoglie gli acquisti librari del marchese, fonte preziosa del dipanarsi della sua attività, si deve ad Anna Giulia Cavagna; una recensione molto dettagliata di questa ricerca, che aiuta a comprenderne metodi e contenuti, è liberamente consultabile in rete.
Antiquariato a Finalborgo
Vengo infine all’osservatorio astronomico finalese. Fra le alture montagnose dell’immediato intorno paesano la ricognizione archeologica del bric di Pinarella (o Pianarella) davanti al già nominato altopiano delle Manie ha rivelato segreti straordinari che ci portano assai indietro nei secoli. Sebbene molte siano le difficoltà nella lettura di un’area così, dove il terreno carsico e l’azione fortemente dilavante della pioggia rendono ben ardue le ricostruzioni dei contesti, si è tuttavia riusciti ad avanzare delle ipotesi con qualche punto fermo. Complesso cerimoniale, sepolcrale nonché osservatorio astronomico fin dalla notte dei tempi lo studio del posizionamento delle pietre in situ ci parla di un luogo sacro, frequentato e riconosciuto come tale nel plurimillenario avvicendarsi della vita umana da queste parti.
Studio di archeoastronomia sul Bric di Pinarella (o Pianarella)
Tanto per non farsi mancare nulla Finale vanta anche un museo diffuso e un paio di anni fa è stata al centro di un’interessante iniziativa, volta a riscoprire la cultura dei tarocchi insieme all’associazione faentina “Le Tarot”, che ha collaborato alla realizzazione di una mostra ideata appositamente per valorizzare il borgo antico.
CODEBÒ M., DE SANTIS H., PESCE G. 2011, L’osservatorio in pietra di Bric Pianarella (SV), in “Astronomia culturale in Italia”, Società Italiana di Archeoastronomia, Milano, pp. 177–185. Stone Observatory/Academia.edu