Un tempo di natura prima che il tempo finisca

Il titolo dell’ultimo lavoro di Michele Pellegrino è più che eloquente e getta uno sguardo sul rischio di una perdita definitiva. L’essere umano infatti sembra vicino, come mai in passato, alla fine dei tempi. Il Novecento ha affilato le sue armi – armi terribili, congegnate per la distruzione di massa – attraverso cui molte stragi e devastazioni ha messo in atto. Nonostante l’umanità sia rimasta così a lungo sospesa sul baratro, tanto da pensare che avesse fissato nella propria mente ogni più atroce efferatezza che lì sia avvenuta, anziché prenderne le distanze pare ancora oggi esserne fatalmente condizionata.

Può darsi che questa sensazione di fine dei tempi sia stata anche delle generazioni che ci hanno preceduto. Certo, la seconda guerra mondiale dev’essere apparsa alla maggior parte come un’apocalisse, di sicuro la sua immagine terrena meglio riuscita.

La raccolta del grande fotografo piemontese appena pubblicata da Mondadori-Electa è una struggente riflessione sulla labilità, lo scivolamento che si va consumando, una caduta che si direbbe inarrestabile ma pure reca in sé la traccia per un’inversione di rotta. Basterebbe tanto poco, ad esempio iniziare ad ascoltarsi e posare gli occhi sull’incanto della natura, per volgere in meglio le nostre energie così disperatamente rivolte all’autodistruzione.  

Le Langhe, terra madre di Pellegrino, possono dirsi un osservatorio d’elezione per ragionare intorno a questo tema, in cerca di una risposta che forse sa un po’ di oracolo, non nel senso dell’infallibilità che agli oracoli si accompagna, piuttosto per l’intuizione e la limpidezza che viene da certe voci.

In una prossimità emotiva che attiene anche ai miei percorsi di scrittura fin qui intrapresi, si segnala la citazione dello studio su Paula Modersohn-Becker nelle note che introducono a questo lavoro. Le iniziative che in alcune zone del Piemonte – e non soltanto qui – si stanno portando avanti sia in architettura che nelle arti (recupero delle borgate, progetti di comunità, partecipazione di diverse personalità creative ai lavori di studio e ricerca per la loro realizzazione) rimanda, pur in contesti diversi e in una fase storica mutata, ai collettivi fondati in diversi luoghi d’Europa fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento – a partire dalle esperienze antecedenti di Barbizon – accomunati dal desiderio di un ritorno a un più autentico rapporto con la natura.

Si riporta integralmente la nota in oggetto con riferimento a Paula Modersohn-Becker e a uno spirito culturale che merita senz’altro di essere approfondito anche alla luce della complessa fase storica che stiamo attraversando.  

«È peraltro uno dei grandi temi dell’arte ottocentesca, dal romanticismo al neogotico, che nella radice romantica ha trovato nutrimento. Le comunità o colonie artistiche da Barbizon in poi, passando per Pont-Aven, fino ad arrivare a Murnau, Sylt, Worpswede nacquero come ritiri alla ricerca di un più genuino rapporto fra natura e persone. Si veda a proposito di questi intrecci una personalissima declinazione espressa in pittura da Paula Modersohn-Becker, illustrata dal saggio di Claudia Ciardi, Ut pictura poësis. Arte, parola e metamorfosi di Paula Modersohn-Becker, rivista «Incroci», semestrale di letteratura e altre scritture, numero 45, anno 2022, pp.118-131».

Peraltro in contiguità con l’approfondimento dei rapporti su letteratura ed arte, nel cui ambito questa trattazione ha posto in rilievo lo scritto di Elsa Morante su Beato Angelico.

Dalla prefazione di Daniele Regis, La poetica della luce, p. 27 (note 28 e 29) in Michele Pellegrino, Prima che il tempo finisca, Mondadori-Electa_Photo, 2022, edizione bilingue (italiano-inglese).


Si rimanda alla scheda della pubblicazione:
https://www.electa.it/prodotto/prima-che-il-tempo-finisca/

Circumnavigarte

La scelta non poteva cadere su un’immagine più felice. Swanbook e “Il Sirmionelugana” attraverso l’antologia dei poeti vincitori, premiati e menzionati del 2022 rendono omaggio all’idea della navigazione, metafora longeva e potentissima, per una lode alle arti che ha il suo centro nella riviera gardesana.
Un battello che salpa dalle acque del lago per unire idealmente mondi, energie, aspettative, simbolo di pace e di rinnovata (e ritrovata) creatività.
Fra gli autori che la giuria ha ritenuto meritevoli di essere premiati, il libro contiene tre delle mie poesie in concorso.


L’antologia è disponibile in prevendita sul sito della casa editrice e nei principali canali dedicati alla distribuzione editoriale.

* Il Sirmionelugana 2022, AA. VV., antologia del Premio letterario, Swanbook, 2022, ISBN 979-10-80357, € 11,00

Si veda anche: Navigazioni d’arte e poesia

Mentre fuori c’è tempesta

Henry De Groux (1866-1930),
Madre con bambini in un rifugio

È già un paio di volte che mi accade di documentarmi sulla ricostruzione in Ucraina. Oggi mi è capitato che mi chiedessero se la guerra era finita. Cosa? Dove l’avete sentito? Rispondo io. E mi fanno: Non hai visto la delegazione che è andata a firmare per ricostruire? No. Comunque la guerra non è finita.

Anzi, da qualche giorno aleggia di nuovo l’incubo nucleare con la questione dei bombardamenti a Zaporižžja e la notizia che il gas sarà tagliato fino all’inizio di settembre (Nord Stream chiuso, ufficialmente per manutenzioni). In via più plausibile, ogni volta che c’è un’iniziativa sgradita a est – annessioni Nato, invio di armi, tavoli per la ricostruzione – la risposta non si fa attendere: grano bloccato, un attacco missilistico particolarmente distruttivo, centrali nucleari che si riaffacciano nella contesa. Stavolta, chiusura del gas da subito, preceduta dalla caustica dichiarazione di Medvedev che poche ore prima aveva liquidato l’intera classe dirigente europea come una compagine di inetti.

No, cari ragazzi miei, la guerra non è per nulla finita.

D’altro canto, la domanda e la conseguente discussione mi hanno fatto tornare all’inizio di luglio, quando a Lugano si è tenuta una conferenza per la spartizione delle zone da ricostruire. Non ci avevo dato molto peso, ma la cartina che mi era venuta sotto gli occhi qualche interrogativo me l’aveva suscitato. Come si poteva e si può parlare di ricostruzione mentre ancora infuria la guerra? Cioè, pensare a ricostruire non quando ormai gli esiti sono chiari, tanto da poter mettere sul tavolo piani certi, cronoprogrammi, risorse entro un quadro politico assodato, scaturito da un evento. Ma farlo molto prima, nella totale incertezza. Sarebbe un messaggio rassicurante, di solidarietà? Siamo sicuri? O forse l’ennesima presunzione, quel tarlo che purtroppo a ovest sembra infestante, di buttarsi nelle cose senza considerare le effettive condizioni in cui si opera. Da questo punto di vista la mia riflessione si collega alla precedente sulla fine delle illusioni di massa. E tra qualche rigo ci voglio tornare.

Prima però intendo concludere questa parte ricordando che nell’occasione della conferenza svizzera di luglio all’Italia sarebbe virtualmente toccata la zona di Donetsk. Forse la più problematica, anzi senza forse. Perché lì la guerra c’era da prima che scoppiasse nel resto dell’Ucraina. Otto anni di martirio nell’indifferenza del mondo – 268 bambini uccisi, altrettanti e più orfani di genitori, feriti e senza cure, costretti a star lontani da scuola perché esposti al tiro dei cecchini. Eppure delle associazioni di volontariato italiane erano presenti, alcune hanno anche girato drammatici reportage lanciando un grido d’allarme che nessuno ha raccolto – in tal senso l’assegnazione al nostro paese mi trova pienamente a favore, avrebbe un suo perché, una certa coerenza, per quanto sia una missione davvero ostica, che implicherebbe grande, grandissimo equilibrio soprattutto nella gestione politica e diplomatica. Ma questa precoce autoinvestitura mi lascia comunque perplessa. Sensazione che oggi torna insieme a tutta la mia precedente perplessità. Cui si aggiunge un’altra domanda: i Russi cosa pensano al riguardo? Ossia che ci arroghiamo il diritto a ricostruire sostanzialmente seduti a un tavolo unilaterale. Ma sì, i Russi staranno a guardare, proprio come hanno fatto in questi ultimi mesi, mentre noi diciamo a noi stessi: qui ci saranno queste delegazioni, qui invece si farà diversamente ecc… Siamo sicuri che funzioni in questo modo?

Infine, come costruisci la tua casa mentre fuori c’è tempesta?

L’iniziativa sarebbe ancora lodevole se funzionale a spingere verso un componimento decisivo del conflitto. In un quadro già avviato, ormai pressoché risolto. Ma noi non siamo nemmeno lontanamente a questo stadio, a parte le dichiarazioni a giorni alterni sulla disponibilità a negoziare o meno. Quali passi avanti nelle trattative di pace o presunte tali sono stati fatti?

Ed Henry Kissinger, questo quasi centenario che di recente è tornato a parlare con assennatezza, come anni fa, come negli ultimi mesi, ancora non lo ascoltiamo. Si dà invece il caso che questi signori del passato abbiano dato prova di essere molto più ragionevoli dei loro pupilli, che lo sono soltanto per un fatto generazionale, non certo per virtù acquisite (gli attuali settantenni alla guida oltreoceano). Rileggiamolo Kissinger: «Gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra con Russia e Cina. È una situazione che in parte hanno creato Washington e la Nato, senza alcuna idea di come tutto ciò andrà a finire, o a cosa dovrebbe portare». (Dichiarazione apparsa sul Wall Street Journal, agosto 2022). Uno stato cuscinetto fra Russia e Occidente, disinnescare, raffreddare, fare qualcosa di controllabile dalle due parti, non un gioco delle parti, tenere al riparo la popolazione, grazie Henry! Ecco come bisognava agire, molto prima. Novantanove anni, l’unica mente lucida. Invece ad oggi abbiamo solo un massacro senza fine e l’incubo di un’enormità che ci tallona.

Ironia della sorte, ma qui adesso non ride più nessuno. Mentre andiamo ai tavoli di una paradossale ricostruzione (in piena guerra) la Toscana è stata travolta da un evento disastroso che, seppure di natura diversa, per i danni che si è lasciato dietro è almeno in parte assimilabile a un bombardamento. Tanti dei nostri alberi secolari sradicati, uccisi dalla furia della tempesta; quale tremenda metafora di ciò che attraversiamo, una metafora reale, viva e sconvolgente che ci riempie gli occhi, ovunque. Quindi, sul tema della ricostruzione ne avremmo di che riflettere e occuparci, anche alle nostre latitudini.

No, cari ragazzi, la guerra non è ancora finita.

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Alcuni fatti degli ultimi giorni sul fronte ucraino, che dalle nostre parti sono stati anche di emergenza meteoclimatica. Leggendo in sequenza si comprende a che livello di incomunicabilità siano gli attori in campo.

20 agosto/ giorno 178

Deputato Gb: la Nato deve intervenire se c’è fuga radioattiva a Zaporizhzhia

Media: abitanti russi lasciano Sebastopoli dopo le esplosioni in Crimea

Arera, Besseghini: oscillazioni del costo del gas, strategia chiara della Russia

Illeso il sindaco di Mariupol dopo tentato omicidio. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tass

Mosca: la guerra è iniziata per minacce inaccettabili da Kiev

Onu: sbloccare export da Russia di alimenti non sanzionati. Appello di Guterres durante la visita a Istanbul

19 agosto/ giorno 177

Zelensky ringrazia Biden per nuovi aiuti militari

Nato: ad agosto incontro Finlandia, Svezia e Turchia su allargamento

Tensioni in Lettonia per la rimozione di monumenti sovietici

A Londra Saatchi Gallery cancella una mostra d’arte ucraina organizzata da un russo

In una lettera all’Onu Mosca denuncia “provocazioni” a Zaporizhzhia

Gazprom: stop ad unica turbina di Nord Stream il 31 agosto per 3 giorni di riparazioni

18 agosto/ giorno 176

Zelensky: “Negoziati possibili solo se i Russi si ritirano”

Mosca: la Russia schiera missili ipersonici a Kaliningrad

Rutte a Stoltenberg: bisogna ancora armare l’Ucraina

Kiev: raid russo su condominio Kharkiv, il bilancio sale a 12 morti

Russia: chiuderemo la centrale di Zaporizhzhia se gli attacchi continuano

Erdogan proporrà il cessate il fuoco nell’incontro a Leopoli


La mostra cancellata – Ancora ingerenze nell’arte, l’unica patria che dovrebbe restarci libera.

  • Riporto per intero la notizia da «Rainews» (19 agosto 2022)

La Saatchi Gallery di Londra ha cancellato una mostra di arte contemporanea ucraina dopo una protesta sui social media dovuta al nome del responsabile dell’organizzazione dell’evento, il banchiere e collezionista d’arte russo Igor Tsukanov, assistito dal collega russo Marat Guelman come consulente. “The Ukrainian Way” avrebbe dovuto esibire le opere di 100 artisti ucraini presso la galleria dal 3 all’11 settembre con tanto di asta di opere. Tra i partner l’M17 Contemporary Art Center di Kiev e nel comunicato stampa era indicato che tutti i proventi sarebbero andati a “enti di beneficenza che sostengono l’arte e la cultura ucraine, tra cui l’Art for Victory Fund e l’Ucraino Emergency Art Fund”. “La Saatchi Gallery non era l’organizzatore o il curatore di ‘The Ukrainian Way’ né era coinvolta in alcuna comunicazione diretta con gli artisti o i collezionisti”, ha affermato l’ufficio stampa della sede in una dichiarazione a The Art Newspaper, citato da Cnn. La galleria aveva donato il suo spazio con l’obiettivo di “promuovere artisti ucraini e generare fondi di beneficenza a beneficio dell’Ucraina” e il suo “coinvolgimento nel progetto era basato sul coinvolgimento delle principali parti interessate ucraine”, continua la dichiarazione. “Abbiamo ricevuto assicurazioni da queste parti interessate che il progetto era da loro pienamente sostenuto. Una volta che è diventato evidente che il sostegno di alcune di queste parti chiave era stato ritirato, insieme alle segnalazioni di preoccupazioni sollevate dagli artisti negli ultimi giorni, la Saatchi Gallery ha immediatamente preso la decisione di annullare la mostra di dieci giorni e ritirare il suo sostegno al progetto”. La galleria ha annunciato che lavorerà con l’Istituto ucraino, che promuove la cultura ucraina a livello internazionale, per “trovare il modo di mostrare le opere degli artisti ucraini, sensibilizzare sulla situazione inaccettabile in Ucraina e generare fondi per sostenere la cultura ucraina”.

Ut pictura poësis


La parola di un artista non è qualcosa di accessorio alla sua opera. Non è una testimonianza che non possa viaggiare svincolata dalle immagini che ha prodotto.

Nella ricerca sul lascito manoscritto di Paula Modersohn-Becker questo è stato il principio che ha mosso il lavoro fin qui svolto. L’idea che le riflessioni affidate all’epistolario e al diario vivano di vita propria ha avviato uno scavo filologico negli usi lessicali e nelle suggestioni dell’autrice. Si sono pertanto rintracciati sfondi emotivi, echi e inedite corrispondenze.

Il numero 45 della rivista «Incroci» mi ha permesso di presentare i primi risultati di questo studio. Un esercizio di restituzione in lingua italiana della voce di un’artista che si è cercato di far affiorare nella sua spontaneità, senza forzati paragoni con la sua produzione pittorica. Non viene offerto nessun percorso prestabilito.
La coloritura verbale con la sua intrinseca capacità evocativa è un elemento autonomo in grado di orientare la sensibilità del lettore-osservatore. Toccare le parole, esserne toccati, senza preconcetti, senza esiti già definiti.

Un progetto a cura di Eleonora Beltrani e Claudia Ciardi.



Ut pictura poësis. Arte, pittura e metamorfosi di Paula Modersohn-Becker.
Rivista «Incroci», semestrale di letteratura e altre scritture, numero 45, 2022, pagine 118-131
ISSN 2281-1583

Paula Modersohn-Becker – La tecnica ruvida

Η Ελλάδα είναι η ανατολή μου

Arnold Böcklin, Euterpe, 1872
Hessisches Landesmuseum, Darmstadt

La Grecia è il mio oriente. L’oriente come dimensione dell’anima, che è ἄνεμος [ánemos , soffio, vento, passione].. Una patria letteraria, utopica e tuttavia, se si vuole parli davvero a chi la contempla o l’attraversa, proprio nella sua forza immaginativa, è chiamata ancor più a confrontarsi con le sue radici reali.

Mentre la nostra cultura al di qua del mondo spesso tende a guardare l’altra riva sotto l’influsso di luoghi comuni, selezionando aspetti addomesticati e funzionali a confermarne sostanzialmente la propria estraneità. Insomma all’occidente, quindi a una cospicua parte della cosiddetta nostra intellighenzia, piace solo quel che la rassicura e rinsalda nelle sue posizioni.

Che questa lettura delle culture orientali sia parte integrante della storia del nostro pensiero è un fatto. Ed ha pure il suo bello e ha espresso un potere creativo che merita di essere ulteriormente esplorato. Si vedano i tanti volti assunti dall’orientalismo in Germania fra Ottocento e Novecento. E ancora, la questione orientale sempre accesa e fluttuante nella politica dell’impero asburgico, tra assimilazione delle culture est europee e penetrazione balcanica, in una catabasi-anabasi fino alle porte greche e ottomane.

Il rischio è tuttavia scambiare la storia del pensiero con le forme e i contenuti reali, perdendo di vista le vere implicazioni di un incontro basato su aspetti che non si ammantino di abbellimenti strumentali o travisamenti.

La mia traduzione di Konstantinos Kavafis simbolicamente ha inteso ripercorrere queste tracce. Perché la Grecia moderna è reale, col suo portato di cultura e di storia che affonda sì nella classicità ma che trae il proprio respiro anche da molte altre presenze. Aggiungo che la Grecia antica e moderna bisogna farsele spiegare dai Greci.

Nell’occasione del recente anniversario di questo autore, la cui vita incrocia per l’appunto diverse patrie orientali, ricordo alcuni degli ultimi contributi dedicati al mio studio. Sofia Cacchi («Pangea. Rivista avventuriera di cultura & idee»), Annarita Celentano («Mangialibri»), Laura Vargiu («Zona di disagio» e «Il ponte delle parole»).

Altro qui:

Konstantinos Kavafis (rassegna stampa)

Germania e orientalismo

Avanguardia russa – La prima volta della collezione Costakis in Italia (Torino)

Navigazioni d’arte e poesia

Agnolo Bronzino, Allegoria dell’Amore e del Tempo, 1546

Il rapporto culturale che ho sviluppato con la Lombardia da quando mi sono avvicinata alla Fondazione Testori nel 2013 è stato per me di grande stimolo.

Amore a prima vista, scambio continuo, intesa totale.

Grazie Lombardia! In particolare, grazie Brescia, Mantova, Milano.
E grazie Alessia Rovina – lo so che mi leggi anche qui! – per aver avuto l’intuizione dell’«Argonauta». La tua vivacità e passione per l’antico mi sono venute incontro in piena pandemia con inaspettata delicatezza e non casualmente, nanu mia, bambina mia, ti sei materializzata da un luogo a me così caro.

Capacità imprenditoriale, lungimiranza e passione per i bei progetti culturali nel segno del tipico pragmatismo lombardo mi hanno formata, arricchita, offrendo spunti sempre rinnovati alla mia scrittura.

Tutto, tutto ma proprio tutto è stato incredibile. Dai primi cammini mossi in autonomia tra mostre e centri culturali, dalle aperture manifestate alla mia creatività per poi approdare alle coinvolgenti campagne fotografiche sul gotico.

La cesura imposta dal covid, con quello che purtroppo ne è conseguito per ognuno di noi, non scalfisce la straordinarietà di questi anni. Direi anzi che ancor più la incide come esperienza unica di un decennio per me assai importante.

E grazie anche per questo recente riconoscimento
Circumnavigarte 2022 / Sirmionelugana XI

Esuli di ieri e di oggi. Memorie istriane

Barcola prima del temporale

Ricordo un cambio repentino di luce, come un’anima che entri in un’altra. La città mi salutò così. È così che ho attraversato il golfo di Trieste. E la sera bevevo un caffè in Viale XX Settembre sotto un cielo lampeggiante. Per ore la tempesta ha continuato a indugiare e sembrava che tutto il golfo danzasse uno strano rituale che non si decideva al compimento.

Nei giorni successivi ho incontrato un istriano, fulvo di capelli, che mi ha costretta a seguirlo e che in tutti i modi voleva farmi una cabala. Diceva di esser stato un esule, di venire da Pirano, additandomela sull’orizzonte. In quel momento la luce che la illuminava era di nuovo così enigmatica da dipingermela come una scheggia di un altro mondo. Aggiunse poi che si sarebbe espresso sul mio destino non prima di aver giocato una dozzina di mani con le carte triestine, con le quali mi imbrogliò bellamente, perché faticavo a ricordarle. Né da parte mia ebbi voglia di applicarmi.

Quindi compitò su un foglietto numeri e date. Alle spalle avevo Miramare, la cui fatale presenza avvertivo sopra di me, intanto che seguivo la mano scarna del mio indovino. Pensai che il cabalista mi stesse prendendo in giro una seconda volta, ma il modo in cui mi affidò il biglietto dissipò in me ogni dubbio. In quel momento ebbi la certezza che l’adorabile ciarlatano sapeva il fatto suo.

Più tardi, una sera di fine settembre, un sentiero che porta sulle mura di Lucca, direttamente in uno degli affacci più belli della città, dietro il campanile di S. Frediano. Anche l’ora poteva dirsi la più propizia per girare in quel luogo. Sul tardi, quando il sole si posa obliquamente sopra le architetture e i monti e tutto il resto sembrano sciogliersi in un irrefrenabile trapasso. Ero tornata a camminare lì dopo il mio passaggio a Trieste, giorni intensi segnati da narratori d’eccezione, gente che con spontaneità, signorilità d’altri tempi, e perfino una sana follia, mi aveva donato un pezzo di sé: che Trieste sia una finestra sul mondo è vero non solo per l’intreccio di cultura ed eventi che vivono nei libri e continuano a scaldare il cuore della città, ma più ancora per la miniera di tipi umani in cui ci si imbatte. Mi ero lasciata indietro Miramare, il mansueto guardiano del golfo, il bambino bianco che si fa beffe del tempo, e mi ritrovavo a passeggio su questo scorcio di mura antiche, in una luce calda che ne alleggeriva i contorni. Dentro di me si fece avanti una presenza, quasi una vicinanza che rivendicava attenzione. Forse perché avevo ancora nelle orecchie le voci di chi nel mio viaggio mi era venuto incontro. Ma no, sentivo che era qualcosa di più forte. Non sono affatto metodica e raramente mi soffermo su targhe e iscrizioni. Eppure avvertii il preciso bisogno di voltarmi. Ridiscesi il sentiero e mi avvicinai al grande edificio bianco sulla destra, che sorgeva come un panno steso dietro S. Frediano. Possibile che sia una scuola? No, il liceo classico è in una strada vicina, non mi sbaglio. Provai una strana sollecitudine che mi provocò a leggere la targa commemorativa. Nella grande casa bianca, che per certi versi al tramonto ricorda il candore di Miramare e che guarda le alture al di là delle mura, azzurre come onde portate lì da un’insolita corrente, trovarono ricovero molti esuli dell’Istria. All’improvviso tutto mi divenne chiaro. Guardando là oltre, in quei momenti di strazio e sradicamento, magari più d’uno si sarà sentito confortato qualche attimo dal sole che veglia i bastioni, dove il verde cupo dei monti, che a tratti vira in blu, ricorda i dolci profili istriani. Sono rimasta senza parole. Mi sono venuti i brividi.

Anni dopo, una notte tra i carruggi di Genova, avrei avuto precisa conferma dei miei numeri, dei destini che vi si agitavano. Ad ascoltare di nuovo le cifre sillabate nel caldo soffocante di un’altra città, in ore incomprensibili e certamente non di questa terra, mi sono sentita quasi divelta.

(Claudia Ciardi)

Barcola

* fotografie di Claudia Ciardi

È  raro che in poche battute le persone si rendano disponibili a rivelare qualcosa di sé. Questo grado di profondità, raggiunto con inspiegabile spontaneità e immediatezza, l’ho sperimentato finora solo a Trieste.

Stralcio di corrispondenza con uno degli artisti triestini (ottobre 2014)

La follia abbatte il personaggio perché si impadronisce dell’anima, voglio difendere la mia anima e la mia persona perché nessuno lo farà mai.

Attualmente ho una mostra delle mie opere dove rappresento l’interno della grotta di mare a miramar, nel parco dove due amanti si incontrano come in sogno, sono stati Massimiliano e Carlotta sicuramente due spiriti, a suo tempo, che aleggiano, e forse due amanti che sognano di esserci. Folli son quelli che si lasciano travolgere dalle furie, io non voglio e se è successo nella mia vita non ero cosciente, pensa forse capirai.

Me – ottobre 2014

Quello che fai è molto bello. La tua grotta è un mondo incantato in cui i sogni di tanti vengono a darsi appuntamento.

È strano come la tua sfrontata esuberanza si richiuda all’improvviso. Ne resto quasi sconvolta.  

Purtroppo la realtà è cosa assai ruvida e spesso distaccata da una più autentica comprensione. Però, finché siamo qui, è inevitabile viverla. Ma può anche essere bello abbandonarsi, se bello è ciò che ci afferra. A dircelo è qualcosa che ha a che fare con l’istinto, credo. Le sensazioni sono continuamente esiliate nell’epoca in cui viviamo, e questo è un male, male per la creatività, male per l’arte, male per la spontaneità dei rapporti tra esseri umani. L’aridità è la cosa da cui non vorrei mai essere dominata. E un artista, per sua stessa inclinazione, non può essere avaro di sé.

La tua anima la culla Trieste, lo ha già fatto per tanti. È generosa e calda come una madre, e ti sorregge. Non dimenticarlo. Te lo dice una forestiera, che ama guardare lontano.

13 ottobre 2014

Per fortuna la grotta sul mare esiste è reale non è un sogno quindi sono al sicuro dalla follia lontano lontanissimo tocco la realtà con mano ….. finché vivrò.

ἄγαμος ἄτεκνος ἄπολις ἄφιλος

Valentin Aleksandrovič Serov, Ifigenia, 1893

νῦν δ’ ἀξείνου πόντου ξείνα

δυσχόρτους οἴκους ναίω,

ἄγαμος ἄτεκνος ἄπολις ἄφιλος. (Eur. IT 218–20)

E ora qui, straniera, sul mare desolato

le tristi case abito,

senza nozze, senza figli, senza patria né affetti.

Euripide, Ifigenia in Tauride [traduzione di Claudia Ciardi]

Si è festeggiato l’8 marzo, e nell’arte con molte iniziative già preparate, è evidente, prima che scoppiasse l’ennesimo disastro. Così, proprio mentre le abbiamo interpellate e ci siamo adoprati per celebrarle, le Muse, turbate, ferite, hanno continuano a tacere. Avrebbe potuto essere altrimenti? Con quello che accade la femminilità più di tutto è scossa e sradicata, minacciata nei propri affetti, nelle cose che si danno come basi del proprio mondo, per quel poco che si può rendendolo saldo.

Sono tristi e arrabbiate queste Muse, perché non facciamo abbastanza per onorarle, anzi mentre diciamo di amarle, le mandiamo in esilio. E così le Muse tacciono, tacciono perché è debole il nostro omaggio, non sono fresche le rose che portiamo.

Vorrei anche dire che un buon 8 marzo a due signore che si occupano del fondo manoscritto di Paula Modersohn-Becker ci poteva anche stare; più di dieci anni di studio l’una e, per quanto mi riguarda, oltre quattro anni. Un lavoro esteso che comprende la consultazione di molti materiali in lingua, inediti in Italia, di cataloghi e altri strumenti simili che ci siamo procurate tenendo contatti con centri di studio, librai e antiquari tra gli Stati Uniti e la Germania.


Ne approfitto per dire che è in corso di pubblicazione un lungo saggio a mia firma (30.500 battute con un excursus bibliografico incentrato su alcuni recentissimi titoli usciti nel panorama culturale tedesco) dove si offre in anteprima un ritratto di questa pittrice a partire da un accurato studio delle occorrenze verbali in rapporto alle sue esperienze di crescita artistica. Abbiamo lavorato come se avessimo di fronte un poema antico, rintracciando clausole, ritorni nell’aggettivazione, tentando di illuminare le singole e più significative parole tedesche per quello che è il loro portato sia in ambito letterario che pittorico. Il testo offre cospicue citazioni in un raffronto bilingue tra gli autori passati in rassegna. Così sarà contento chi per mestiere rileva le pagliuzze altrui…

È strano come si osservi nell’altro un battito di ciglia e poi ci si “dimentichi” di chiedere conto della ricerca di due studiose, che non vantano parentele accademiche, ma validamente e profondamente si sono impegnate.

Ad ogni modo, di questo primo assaggio della nostra ricerca indipendente daremo notizia qui nelle prossime settimane.   

Visto che l’8 marzo è andato e si è persa una buona occasione, provvedo da me ad augurarci buona primavera. Buon risveglio a noi, buona arte e creatività a te, cara Eleonora, e buona rinascita a tutte le donne che lottano, a quelle che non vengono aiutate, a quelle che lavorano in silenzio senza sfruttare rapporti di potere, cui vengono negati sistematicamente spazi di rappresentazione e d’intervento, a quelle che cercano di cambiare le cose.

22 ottobre 1899 – Dal diario di Paula Modersohn-Becker [traduzione di Eleonora Beltrani e Claudia Ciardi]

Des Nachts, wenn ich aufwache, und morgens, wenn ich aufstehe, ich es mir, als wenn etwas Traumhaft-Schönes auf mir liege. Und dann ist es doch nur das Leben, das mit seinen schönen Armen ausgebreitet vor mir steht, auf daß ich hineinfliege.

Quando nottetempo mi desto e al mattino mi alzo, è come se qualcosa tra sogno e meraviglia mi avvolgesse. Poi, altro non è che la vita a braccia aperte innanzi a me, perché mi ci getti.

11 luglio 1899 – Dal diario di Otto Modersohn [traduzione di Claudia Ciardi]

Es kommt aber alles darauf an, alle Schlacken, alles anhaftende fremde zu beseitigen und ganz “ich selbst” zu werden, ganz persönliche Bilder zu schaffen, die würden mir Erfolg verschaffen, innerlich reif, und äußerlich reif (einheitlich)…

Ma è proprio una questione di rimuovere tutte le scorie, tutte le residue cose estranee, per divenire completamente “me stesso”, creando immagini del tutto personali che mi porterebbero al risultato, interiormente maturo ed esteriormente maturo (uniforme)…

Nabis

Künstlerkolonie Worpswede

Inscriptio vastitudinis

La guerra che devasta, la poesia che lenisce

Gli affreschi di Buffalmacco danneggiati dopo il bombardamento del Camposanto di Pisa


Riproposta del saggio ispirato dalla mia lezione pubblica tenuta nel marzo 2011.
Qui disponibile la versione integrale.


La traccia di questo saggio, alla luce dei miei lavori di scrittura nel decennio trascorso, s’impone in tutta la sua chiarezza. E proprio in virtù del cammino intrapreso e delle sue tappe viene a parlarmi con una voce, se possibile, ancor più limpida, rispetto a quando mi apprestai alla sua composizione.

Ora più nitidi sono gli esiti, i temi abbracciati, le inclinazioni letterarie che alla fonte dell’antico per prima si sono abbeverate, il portato delle storie toccate, la cadenza emotiva che ho coltivato e celebrato nel mio viaggio.

Perfino Hugo von Hofmannsthal vi si affaccia, prima soglia varcata allora senza fermarmi e che tanto tempo dopo, in circostanze cambiate, in una me cambiata, mi avrebbe spinta a tornare tra quei suoi frammenti allora solo sfiorati.

E la guerra, il pericolo incombente della deflagrazione, il grido dell’umanità che si vede perduta, lo scempio del Camposanto di Pisa durante la seconda guerra mondiale, le macerie dell’oggi. Ma anche la ferma volontà di non soccombere.

La sensazione di aver seminato e raccolto per sottrarre spazio al deserto, questa sensazione di un tutto che inaspettatamente viene a significare qualcosa laddove fino a poco prima anche un nesso pur minimo sfuggiva, solleva e gratifica. È una lenezza tutta musicale che impedisce di essere travolti e che fa ricordare a se stessi. Perché aver memoria di se stessi è la prima pietra nell’edificio che intenda accogliere l’umano.

* Un estratto pubblicato sul mio blog alla notizia delle distruzioni compiute a Palmira.

* Ricostruzioni (La Triennale di Milano, 2019) 

I restauratori al lavoro per la rinascita

Scrittura e arte

Scrittura e arte, arte e scrittura. Due sponde che si chiamano. Un rapporto simbiotico destinato a nuove metamorfosi. 


Interrare i semi, scendere fino all’anima delle cose. Radicarsi in un suolo come alberi nel loro regno. E se il vento li scuote, abbandonarsi restando saldi.
Assecondare la natura, sentirne le cadenze dentro di sé non per ripeterle ma per farsi strumento di creazione. Donare e ricevere. Perché nell’arte va come nell’amore.