Artigianato e arte del libro

Libri con legature in pelle e tagli artistici marmorizzati realizzati nel 1850

Il libro è un oggetto mutevole, che nel tempo si è adattato alle esigenze di committenti colti e appassionati come di un pubblico man mano più ampio, dall’invenzione della stampa in poi. Ha quindi adattato il suo aspetto ai diversi contesti sociali in cui si è trovato a circolare. Con il passare dei secoli è cresciuta la consapevolezza circa la sua capacità comunicativa, legata non solo ai contenuti ma ancor più per il suo aspetto, il formato, la carta, i tagli, trattandosi di un livello più immediato, più riconoscibile e che precede la lettura; qualcosa in grado di orientare la scelta del libro stesso. Nel corso dell’Ottocento le copertine divennero sempre più vere e proprie tabulae illustrate su cui fissare un’idea artistica, dalla scelta del colore ai caratteri decorativi fino alla grafica del titolo. Abbiamo già avuto modo di accennarvi in una precedente ricognizione sul cosiddetto libro dipinto.

Altrettanto vasto e affascinante è il regno dei formati che dal Medioevo in poi assecondano la richiesta di una committenza assai eterogenea, religiosa o laica, tentando di rispecchiarne le rispettive necessità pratiche. Il taglio miniaturizzato, la copertina scelta in modo da resistere alla lunghezza dei viaggi nel caso di aristocratici e mercanti o al ripetersi delle funzioni ecclesiastiche e ai frequenti spostamenti nei villaggi per l’opera di catechizzazione. Oppure alcuni assemblaggi con materiali di fortuna per risparmiare sui costi e dunque sui materiali; è il caso di alcuni “libri” scolastici per bambini, più simili alle tavolette d’esercizio usate già nel mondo antico.

Non è un’attitudine sporadica infine che librai e maestri rilegatori abbiano da sempre raccolto sfide personali a dimostrazione della loro perizia. Il produrre esemplari bizzarri e “difficili” era una sorta di biglietto da visita. Una tradizione longeva che si può ancora riscontrare in alcuni decani del mestiere. Ricordo un abilissimo artigiano libraio a Fossano che sfoggiava con orgoglio i suoi esemplari miniaturizzati, sostenendo che erano il frutto di una “tenzone” ingaggiata con un collega. È questa un’altra tradizione ben radicata nel mondo della legatoria, specie di appartenenza anglosassone, dove a quanto pare questi esercizi di pazienza ed eccentricità si sono conservati in maggior numero. È il caso di una serie di minutissimi libretti, grandi come la falange di un dito, creati nel corso dell’Ottocento, che ci è già capitato di indicare come secolo di follies editoriali, indirizzate a vari argomenti, con una preferenza per calendari, proverbi, previsioni astrologiche e almanacchi. Forse queste materie meglio si prestavano a sintesi estreme che quindi potevano ben adattarsi a formati davvero minuscoli. Come pure si può ipotizzare che tali coriandoli più che tascabili fossero pensati alla stregua di amuleti. Dunque al di là di oggetti a stampa fruibili in sé ma per quello che erano in grado di evocare. Ciò sembra peraltro alla base dell’attrattività che ancora esercitano in chi li contempla. Nesso tutto da esplorare. Una collezione di mini-libri simili a quelli appena descritti risulta censita e catalogata dall’università dello Iowa.

Chiudo menzionando la raccolta online apprestata dal professor Erik Kwakkel, medievista a Vancouver che, nell’humus poco considerato di tumblr, ha aperto una galleria virtuale di esemplari rari e notevoli, vere e proprie opere d’arte in forma di libri esemplificative di diverse civiltà e parti del mondo.  

The Ethiopian goat skin Bible

Almanacco con segnalibro in seta

Libro d’ore in miniatura proveniente da un’Abbazia benedettina in Austria

* Alcune immagini di queste rarità e la loro descrizione provengono dalla pagina fb “Osservatorio libri. Quotazioni”.

Hornbook_Children’s book

Altre curiosità sul sito “Ebook frendly”:
18 most creative books from the past and present

Di nuvole, Sibille e ombre sacre

Michele Pellegrino_Nuvole e montagne
Dal catalogo “Io il covid e le nuvole”_Electa Photo_2023


Poeta di nuvole e montagne, a novant’anni il fotografo Michele Pellegrino offre i suoi cieli al grande pubblico raccogliendoli in un emozionante catalogo e ricevendo un’attesa e decisiva consacrazione internazionale con la sua personale ospitata da Camera di Torino a febbraio di quest’anno. Lode alla transitorietà, al fluire di tutte le cose nella corrente del tempo ciclico della natura. Un aruspice del contemporaneo che osserva e afferra l’immediatezza, l’attimo in cui si leva il vento e l’aria vibra per un cambio di luce. Del resto, cosa c’è di più rapido e mutevole di una nuvola? Eppure la fotografia è immanenza, crea una curvatura dello spazio-tempo, proietta un incantesimo paradossale su una cosa finita, proprio perché rappresentata (o nonostante ciò), inducendola a una perpetua traslazione del presente. Se l’aoristo è in greco il tempo indefinito per eccellenza, l’espressione della compiutezza di un atto senza che sia collocato con precisione in un quando o un dove, questa galleria di Pellegrino parla secondo le forme antiche, si coniuga come accadimento puro, apoteosi dell’essere in sé, svincolato, staccato dalla linearità consecutiva, dal costrutto seriale. Un paradigma intraducibile anche dopo essersi fissato in uno scatto.   

Si direbbe il volto sibillino delle nuvole questo essere illimitato, mai identico a se stesso, che si trascende di continuo fra realtà e ineffabile. La Sibilla, dea non dea, di una sensibilità più che umana, estrema, che rasenta il disordine emotivo, è una creatura centrale e al contempo marginale della religione antica. Le sue facoltà divinatorie si perdono «ne le foglie levi», ha un’indole sfuggente, ombrosa e non a caso predilige l’ombra per raccogliersi e ascoltare la voce che la ispira. Le foto dei cieli in montagna di Pellegrino rimandano ai presagi umbratili e assorti degli oracoli antichi. La sua è in qualche modo una storia d’incontri fortuiti, di apparizioni, immaginazioni, conversioni in senso pagano, cristiano e letterariamente personale. La ricerca del proprio respiro nel respiro della terra attraverso la creazione d’immagini, la riscrittura di una genesi di cui l’uomo sembra aver smarrito il senso. Un’epica vegetale e montanina, di erba, acqua e greti solitari e cime screziate come vascelli fantasma, la cui sparuta umanità si limita a quella agreste, china nei campi o intenta ai lavori artigiani di borgata o nei chiostri monasteriali. Ma nell’ultimo volume dei cieli mancano anche questi pochi. Si lavora per sottrazione, l’umano è assente e tuttavia presente, evocato nei controluce del paesaggio, nella ruota dei giorni al cui movimento assiste e che inesorabilmente lo trascina con sé. Un poema dal valore iniziatico, una rappresentazione taoista del fluire di tutti gli elementi nell’unicità irripetibile dei luoghi e delle testimonianze che li abitano. Di questa pittura-scrittura attraverso la luce ci parlano con accenti altrettanto evocativi Daniele Regis e Walter Guadagnini. Arte, poesia, musicalità della creazione; un’opera multifocale e multisensoriale.

Nella sua approfondita prefazione che alterna i toni del resoconto biografico all’analisi tecnica, un sapiente e scorrevole saggio senza inflessione manualistica, in virtù anche dei molti intarsi in cui si ascolta la voce diretta del fotografo, così interviene Regis: «Le montagne, la natura, l’epica della natura nelle immagini incarnate, sembrano dunque l’ultimo orizzonte di Pellegrino che annuncia quello problematico della storia del mondo: “Il rapporto dell’uomo con la natura nelle sue varie forme non è semplicemente un’enunciazione dell’uomo su di sé […] bensì della natura su di sé”. Forse, in questa chiave il progetto dell’uomo che ritorna in una natura delle origini, nei nudi, si inscrive nello svelarsi, nelle immagini della natura, di un nuovo uomo, in un antico mondo che abbiamo perduto. Questo aspetto della visione naturale wordswortiana, che era anche di Constable come in Ruskin, in Pellegrino non sempre emerge nella critica; prevale a volte il tono del realismo, diretto, asciutto, autentico, puro, senza trucchi e a volte aspro […]». Daniele Regis può dirsi uno degli interpreti più acuti e preparati di questi cicli fotografici, per designazione dello stesso Pellegrino, nonché fra i maggiori esponenti della scuola piemontese. Gli stili contigui, i sincretismi, la vicinanza di sensibilità, la condivisione degli ambienti frequentati hanno creato una longeva intesa di linguaggi fra il ricercatore, architetto paesaggista, e il maestro, portando a una proficua collaborazione a prova di anni.

Accanto ai padri spirituali, si trovano dunque i padri putativi della fotografia e poi vi è il cenacolo degli amici-colleghi di una vita, i propri paesani, gli stampatori, chi ha scambiato generosamente contatti, inviti, esperienze.

Siamo senz’altro in presenza di un volume cardinale nel percorso fotografico di un grande autore piemontese, un tomo altamente consigliato a chi desidera comprendere la bellezza specifica di un territorio, il Piemonte, che diviene anche una landa metafisica, allegoria di conservazione che sollecita la tutela, che sprigiona una poetica in difesa della fragilità. È stato un onore visitare la mostra torinese alla sua inaugurazione, lo è ancora di più vedere citati qui i miei lavori sul mito, con particolare riferimento alle figure delle Erinni-Eumenidi e delle Sibille, nell’ambito di una riflessione sul “sacro femminile”. Trascorsi alcuni mesi da quell’evento, rinnovo il mio invito a cercare i cataloghi di Michele Pellegrino e a seguire le rassegne dedicate alla sua opera.

Catalogo di Michele Pellegrino, Io il covid e le nuvole, prefazioni di Daniele Regis e Walter Guadagnini,
Electa Photo_Mondadori_2023
Dall’interno del catalogo

Khalil Gibran, autore molto amato da Michele Pellegrino e fonte d’ispirazione per numerose sue fotografie

Leggere l’arte

Il libro in qualità di oggetto d’uso o riprodotto in rappresentazioni di pittura e scultura si candida a incarnare nel corso della storia una doppia valenza come strumento sapienziale e simbolo di questa caratteristica speculativa. La sua comparsa sulla scena dell’arte, spesso affiancato al ritratto di un lettore più o meno illustre, celebra l’emancipazione culturale e sociale, avvenuta nel tempo, di un numero sempre più vasto di categorie umane alla ricerca della propria identità pubblica e privata. Una conquista lenta e inesorabile che si accompagna all’invenzione della stampa e, dunque, alla graduale consapevolezza dei cambiamenti prodotti da una circolazione più veloce e ampia della cultura.

Espressione verbale, segno grafico, creazione pittorica vengono così a stipulare una longeva alleanza che si nutre della medesima facoltà immaginativa. Parola e disegno sono infatti due costellazioni complementari, che si possono pensare nello stesso cielo, che servono volentieri un comune intento divinante e, dunque, una natura similmente ispirata.

A dispetto di cori lamentosi annunciati da vessilli di resa – voci di un passato recente e già oltremodo vetusto – noi guardiamo alla vera antichità, autentica fonte di cultura. Diverse concomitanze ci stanno riconsegnando le tracce di una storia potente. I Fori imperiali rinnovano il loro splendore, anche attraverso il riposizionamento di trecentomila sanpietrini – pietra su pietra, passo su passo. Dopo mille e cinquecento anni si è riportata l’acqua alle Terme di Caracalla, elemento costitutivo e fondante di quelle architetture. A Piazza Pia riaffiorano il Portico e i giardini di Caligola.

Un’urbanità sepolta si scuote dal torpore e bussa alle soglie del nostro tempo, densa di messaggi, carica di attese. Ancor più sentiamo il bisogno di esserne custodi e interpreti. Raccogliere questi indizi trasmette forza alla nostra stessa idea di arte, di disegnatori e costruttori del contemporaneo. In ciò riprende vigore anche il convincimento che le idee non siano negoziabili. E quando sono veramente ispirate e sostenute dalla genuinità dei sentimenti diventano incontenibili.

Per questo rito di unione fra arte e scrittura il SetArt 2024 non poteva che tenersi a Roma.

Book nook

Letteralmente libro d’angolo, da cantuccio (nook), per la posizione che gli è riservata sulla mensola di una libreria o simile e per il suo essere angolato, scavato, un libro aperto in senso letterale (si legga pure incavato). Un volume decorativo, un oggetto d’arte ma non qualcosa di statico, non un semplice pezzo da esposizione. Nel novero dei libri d’artista si può forse considerare anche questo genere di opere, estremamente minuziose, alquanto difficili da comporre. Un libro “a rilievo” ben diverso dal libro animato con disegni ripiegati che si aprono sulle tre dimensioni, girando pagina. Qui si tratta di una vera e propria scena che occupa il taglio del libro, munita di congegni luminosi e piccoli dispositivi funzionali alla diffusione di suoni, articolata in pavimenti e travature, in stanze e voliere o altri ambienti d’invenzione.

Il libro diviene così uno scrigno all’incrocio fra arte, gioco e scoperta. Una forma di scrittura-architettura che combina spazio fisico e inventiva. Una rappresentazione plastica del meccanismo immaginifico legato alla lettura. Si riproducono infatti i grandi capolavori letterari, si raffigurano gli archetipi della mente, oppure vengono ideate eccentriche mescolanze fra questi ingredienti.

Ascrivibile alla categoria del diorama, διόραμα (πανόραμα), parola di origine greca, coniata da Louis Daguerre nel 1822, che alla lettera significa “guardare attraverso” e che rimanda alla prospettiva panoramica. In quanto padre del dagherrotipo, oltre che pittore e fisico, l’inventore di questo termine ci indica una precisa relazione con la fotografia. Rispetto a tale mezzo, così come per il disegno o un testo scritto, siamo tuttavia di fronte a un’esperienza che coinvolge più livelli. Strettamente legati all’ambito museale, in particolare per la storia naturale, il carattere coinvolgente dei diorami è una sorta di arte immersiva contemporanea. Fra i primi e più noti creatori italiani si ricorda Paolo Savi, geologo e ornitologo, che lavorò a diversi modelli per finalità didattiche e scientifiche. Le sue opere si possono ammirare al Museo di Storia Naturale e del Territorio di Calci, nei locali della stupenda Certosa monumentale, in provincia di Pisa.

Per inciso, si segnala che ad oggi le riproduzioni dioramiche rappresentano i soggetti più diversi, dando vita a scenografie estremamente realistiche e duttili.

Nel caso specifico del book nook siamo in presenza di una copia su scala, di una elaborata miniatura che intende evocare il fiabesco, chiamato a una fragile apparizione entro i limiti dimensionali di un tomo a stampa. Qualcuno li ha ribattezzati finestre aperte su altri mondi, a ribadire l’essenza della struttura concreta proiettata verso un’astrazione, un’idea di luogo nonluogo. Tale realizzazione è interamente affidata alla cura del costruttore-lettore, qui nei panni di giardiniere, progettista, narratore e, stando a chi se ne intende, non è una cosa tanto semplice in cui cimentarsi. Sapendo di affrontare un esercizio che contempla pazienza e delicatezza, vicino alle pratiche di modellismo, al confine fra tecnica e ritualità, l’impegno sarà la condizione necessaria al fiorire dell’arte.

Altri collegamenti:

Principali tipi di diorama

I diorami nei musei di storia naturale

Book Nook World // A Midsummer night’s dream

Book Nook – Figure d’Art

Esempio di kit per un Book nook

Umane e sacre allegorie

Chi si fa sterminatore dei sogni altrui, non è poi così impensabile che finisca con il distruggere i propri.

L’ambizione umana non è una cosa in sé deprecabile, purché il conseguimento dei propri obiettivi faccia parte di un processo equilibrato che armonizzi se stessi nella relazione con gli altri.

Raggiungere posizioni apicali avendo calpestato, per fini strategici, chi abbiamo avuto vicino è indicativo di una leadership debole. I progetti di potere e le idee di queste personalità saranno inevitabilmente soggetti a cadute. Attribuiscono i loro momentanei successi a innate virtù da paragnosti. In realtà non ne possiedono, e anche quella residua immaginazione che in loro sembrava pur sopravvivere e che per un po’ le ha anche condotte a risultati positivi, a un certo punto, vedendosi tradita, recede.

Vivendo di piccoli calcoli, invece di pensare in grande e in modo veramente inclusivo, si danno obiettivi minori pensando di essere arrivati in cima alla piramide.

Annunciano regni che non esistono e nel frattempo perdono il cuore.

L’Allegoria sacra è un dipinto olio su tavola (73×119 cm) di Giovanni Bellini, databile tra il 1490 e il 1500 circa e conservato nella Galleria degli Uffizi a Firenze.


Those who become exterminators of others’ dreams are not so unthinkable that they end up destroying their own.

Human ambition is not a deplorable thing in itself, as long as the realization of one’s goals is part of a balanced process that harmonizes oneself in relationship with others.

Achieving top positions by having trampled, for strategic purposes, those we have been close to is indicative of weak leadership. The power projects and ideas of these personalities will inevitably be subject to downfall. They attribute their momentary successes to innate parognost virtues. In reality they possess none, and even that residual imagination which seemed to survive in them and which for a while even led them to positive outcomes, at some point, seeing itself betrayed, recedes.

Living by small calculations, instead of thinking big and in a truly inclusive way, they give themselves smaller goals thinking they have reached the top of the pyramid.

They announce kingdoms that do not exist and meanwhile lose heart.

* The Allegoria sacra is an oil on panel painting (73×119 cm) by Giovanni Bellini, dated between about 1490 and 1500 and preserved in the Uffizi Gallery in Florence.

Libri come opere d’arte

Il libro come opera d’arte_GNAM di Roma_(2006)

Nei secoli, a partire soprattutto dall’invenzione della stampa con il diffondersi dei formati alla base dell’odierna editoria, il libro gradualmente si trasforma aprendosi in epoca moderna a possibilità comunicative impensate. Copertina, dorso, legatura, tagli divengono spazi in cui provare effetti cromatici e aggiungere elementi decorativi per renderlo riconoscibile e attraente. L’ausilio della grafica è visto come sempre più funzionale a porgerne i contenuti, a comunicarli attraverso l’immediatezza che il linguaggio figurativo reca in sé, in dialogo e perfino esplicita mescolanza con la parola. Ma non si tratta solo di una simile conquista. Dall’inizio del XX secolo, e già nel corso dell’Ottocento, in concomitanza con le avanguardie storiche, il libro è visto in misura crescente come vero e proprio banco di prova per sperimentazioni e creazioni d’arte. A partire da questo momento non s’intende più come tradizionalmente legato al testo letterario, ma lo si valorizza in quanto veicolo di un insieme di segnali e di suggestioni finalizzati alla discussione e al rinnovamento dell’espressione artistica stessa. Sotto la sferza del futurismo nostrano, soprattutto in scia alle idee di Filippo Tommaso Marinetti, pur filtrate dal futurismo russo, il dada e il surrealismo, si comincia dunque a pensare al libro come oggetto d’arte a se stante. Fra i principali fautori e interpreti di questa rivoluzione si annoverano Fortunato Depero, Emilio Isgrò, Dieter Roth. Quest’ultimo, nato a Hannover nel 1930, attivo dopo la seconda guerra mondiale, in qualità di poeta e grafico si è a lungo confrontato con i libri, decostruendo e sovvertendone per così dire la forma in modo molto originale.

Scortati da cotali personalità possiamo già dirci in mezzo agli arcipelaghi del cosiddetto libro d’artista, pur tenendo conto dell’arbitrarietà che una formula di questo tipo comporta, posto che si tratta di una cosa ben diversa dal libro d’arte con cui si definisce un manuale o un catalogo relativo alla storia o alle iniziative legate a detta disciplina. Un’ampia zona di navigazione che riceverà ulteriore impulso negli anni Sessanta e Settanta, cimento per molti creativi nei ranghi dei più svariati movimenti, dall’arte concettuale all’arte povera, versati in diverse pratiche dalla scrittura alla musica. Il libro si offre come una galleria tascabile, un piccolo museo itinerante, libero, aperto, fluido che rompe gli schemi della fruizione del pensiero e irrompe nel dibattito culturale. L’editoria indipendente, con speciale riguardo ai libri d’artista, fiorisce non a caso nel suddetto decennio sospinto da mescolanze, esperimenti e moti libertari fra ubriacature sessantottine e più o meno rapide disillusioni. Qualsiasi sia la categoria verso cui propendiamo – libro artistico, libro figurato d’autore o libro oggetto – sia questa limitata a pochi esemplari o riprodotta in elevate tirature, siamo sempre e comunque di fronte a una creazione frutto di un’esperienza unica. Il libro è a tutti gli effetti un’opera d’arte o in quanto oggetto o in quanto contenuto. Ne risulta “scardinata” la funzione sua propria, oltre che la forma, per servire del tutto la comunicazione artistica. Uno sviluppo che si nota molto bene nella serie dei cosiddetti libri illeggibili di Bruno Munari, in cui il celebre designer italiano punta unicamente, non senza una certa dose di provocazione, sul medium visivo. Nel solco della storia qui percorsa per sommi capi si ricorda infine un ciclo di eventi di qualche anno fa, in occasione dei riconoscimenti conferiti dall’Unesco a Torino e a Roma come capitali del libro e della lettura (aprile 2006 – aprile 2007). Ispirate alla formula scaturita dalla circostanza “Il libro come tema, il libro come opera”, due mostre alla GNAM di Roma hanno indagato visivamente e concettualmente la relazione fra arti figurative e scrittura: Arte e Letteratura fra ‘800 e ‘900 nelle collezioni della Galleria Nazionale d’Arte Moderna a cura di Maria Vittoria Marini Clarelli e Mario Ursino (catalogo Electa); Il libro come opera d’arte – Avanguardie italiane del Novecento nel panorama internazionale, a cura di Giorgio Maffei e Maura Picciau (catalogo Corraini Editore).

Genesi sfuggente quanto sfaccettata di un contenuto longevo e metamorfico non soltanto classificabile come arte. Dalle prime collaborazioni fra scrittori e pittori, soprattutto nel campo del libro illustrato con litografie e xilografie – narrazioni per capitoli e tavole che a loro volta hanno contribuito a tirare la volata alla graphic novel – per approdare alle sintesi più ardite, fra tecnica e miraggi avanguardisti. In questa nuova prospettiva la composizione tipografica e la disposizione della parole non sono semplici aspetti grafici, fermi, identici a se stessi ma dispositivi mobili, incaricati di amplificare il contenuto, di creare una miscela liquida, compenetrante e spiazzante fra significante e significato. In conclusione nasce e viene proposta al pubblico un’altra forma di libro che contempla e rivela come possibili o probabili differenti livelli di lettura. 

Libro con rifinitura marmorizzata blu sul taglio_dalla pagina fb di “Osservatorio Libri. Quotazioni”

Legature con rinforzo, realizzate utilizzando “innesti” di manoscritti.

Dall’archivio Salvo di Torino_Opera attualmente esposta a Genova, Palazzo della Meridiana, per la mostra “Libri nell’arte” fino al 14 luglio 2024
Eugenio Miccini_Poesia (Firenze)_Opera esposta a Genova, Palazzo della Meridiana, fino al 14 luglio 2024

Fotografie di Claudia Ciardi ©

Altri collegamenti:

Libro dipinto

Federica Boragina, Definizione e catalogazione del libro d’artista: limiti, tentativi e il caso Edcat, in “Ricerche di s/confine. Oggetti e pratiche artistico-culturali”

Alessandra Buschi, Cosa sono i libri d’artista: alcuni esempi famosi, in “Lemona”

The book as a theme, the book as a work_GNAM_Roma_2006

Rosa Rosae

Giardino e roseto dell’Esquilino – Roma

Fiore fra le simbologie più complesse e stratificate nel tempo, mitico e storico, incarnazione di contrasti e ambivalenze, al centro di riti, oggetto di credenze e incantesimi, amato da fate e streghe. La presenza della rosa nelle fiabe risale all’epoca medievale, e le qualità magiche che le sono attribuite derivano senz’altro dall’antica associazione alle divinità. Ad esempio nella storia che lega Adone e Afrodite. La dea della bellezza, depositaria di aspetti che la uniscono alla grande Madre, deterge un olio profumato di rose sul corpo di Ettore morto. Gli aspetti ancestrali del femminino, della maternità cosmica, della vita e della sua cura, anche nella morte, si intrecciano alla rosa, alla sua essenza, al suo linguaggio. A tale proposito, nel dualismo di vita e morte, affiorano pure analogie con Ecate, dea infera, conduttrice di anime (psicopompa), e con Iside; nella ventata delle mode orientali della tarda latinità, la devozione isiaca, frutto di sincretismi religiosi, acquista seguaci anche nelle classi agiate. Ne è oggetto il famoso capolavoro di Apuleio, Le metamorfosi note anche come L’asino d’oro. Gli antichi riti funebri in memoria dei morti si chiamavano Rosalia, da cui si sarebbe ereditato l’uso di deporre rose sulle sepolture. Trattandosi di un rituale con ascendenze asiatiche, si ipotizza che a introdurlo a Roma siano stati i commercianti di lungo corso attivi nelle province orientali. Secondo altre ipotesi, invece, le Rosalia nacquero sotto l’impero di Augusto, importate dalla Gallia Cisalpina. C’è chi sostiene che era una pratica diffusa soprattutto tra i militari, che utilizzavano le rose per onorare, in mancanza dei familiari, i loro compagni caduti.

Comunque stiano le cose, un fatto è certo: i romani ogni anno tra il 10 e il 31 maggio si facevano carico di queste festività per onorare chi non c’era più.

A conclusione di quanto detto sin qui, il legame preferenziale con le dee, la sfera sentimentale e sacra, ne ha fatto per antonomasia il fiore del femminile e della femminilità, fisica e spirituale, di cui accoglie e riflette il segreto e il mistero.
I ragazzi iniziano a declinare il latino sillabando il nome della rosa, che è canto già nel susseguirsi di quelle desinenze. Dalla Grecia omerica e arcaica, dove l’aurora ha dita di rosa, a Cielo d’Alcamo e poi ancora nella poesia rinascimentale e barocca, la sua celebrazione in versi non conosce inaridimenti. Fragile quanto longeva e salda, la troviamo disseminata nelle opere letterarie e in quelle d’arte, ritratto di un inscindibile connubio fra sensibilità poetica e figurativa.

Il moto concentrico dei suoi petali rappresenta la ruota del ciclo vita-morte-vita. La rosa è coppa e femmina che conserva e presiede l’eterno ritorno. Attraverso un percorso culturale molto lungo e sfaccettato, dai Pitagorici al romanzo ellenistico – vi si è accennato con Apuleio che a quelle fonti attinge – la rosa diventa l’emblema del segreto (sub rosa) nell’immaginario alchemico ed ermetico.

Link:

La compagnia delle rose

Natura sensitiva – Il fiore e il segreto

Le Rosalia. Feste delle rose

Roseto all’Esquilino
Giardino del Quirinale
Roseto comunale di Roma
Roseto comunale di Roma – Visitabile liberamente fino al 16 giugno

Fotografie di Claudia Ciardi ©

Luoghi e immagini dell’antico

Nella cornice delle iniziative di valorizzazione del patrimonio culturale italiano per il mese di maggio, mentre si preparano gli eventi legati alla notte dei musei, si ripropone una lettura specialistica da considerarsi un prologo significativo per ripercorrere i sentieri delle civiltà che ci hanno preceduti. Si tratta delle Tre variazioni romane sul tema delle origini a firma di Angelo Brelich, da cui ho ricavato alcuni spunti per la mia ricerca sugli immaginari collettivi e i nessi fra simbolo, linguaggio letterario e figurativo.

Dato alle stampe nel 1955 per le Edizioni dell’Ateneo, in collaborazione con “L’Erma di Bretschneider”, affascinante storia d’impresa libraria romana votata ai mondi dell’archeologia e dell’arte, l’emblematico saggio sulla religione agli albori di Roma non è solo una prova della perizia e dell’acume del celebre studioso italo-ungherese ma anche la testimonianza di come la profondità di uno studio possa restituirci un’immagine vitale e relativamente vicina dell’antico. Non perché lo si voglia forzare a parlare con voce attuale ma per le possibilità interpretative che un’analisi non affrettata e aderente ai contesti è in grado di schiuderci. Volgere lo sguardo alle forme culturali e cultuali di un remoto passato non significa considerare involucri vuoti ma estrarre visioni lontane e sfuggenti nella loro sostanza.

Il mito, inteso quale duplicità di azione e parola, è cosa viva come ci ha spiegato in altrettante pagine mirabili Walter Friedrich Otto. «Considerato sotto questo aspetto di azione culturale, il mito riesce comunque più facile ad essere afferrato nel suo giusto senso. […] L’azione culturale è invero l’accadimento divino stesso nel suo perenne ricompimento. […]… il mito come parola, conformemente al significato originario del termine. Che il Divino voglia manifestarsi nella parola, questo è l’evento massimo del mito. E come gli atteggiamenti, le azioni e le creazioni culturali [di cui abbiamo parlato] sono essi stessi mito, così anche il discorso sacro è la manifestazione diretta della figura divina e della sua potenza». (Theophania)

Passando in rassegna il culto prenestino di Fortuna e l’organizzazione calendariale monarchica da Numa a Servio Tullio, cioè vagliando temi storici, antropologici e religiosi su cui le fonti risultano lacunose e gli indizi latitano, Brelich ci dimostra come mettersi su tracce apparentemente labili, se non addirittura immaginando quelle tracce, può svelare approdi obliati, la cui esistenza non si sospettava neppure. Pur nelle cadenze metodologiche stringenti che ne fanno un testo per addetti ai lavori, lo storico si apre dunque a una narrativa ampia, poliedrica che chiama in causa aspetti politici e sacri. Ne esce una sorta di romanzo i cui protagonisti sono luoghi e figure chiave dell’antichità: templi, altari sacrificali, re, dei. Viene allora spontaneo domandarsi cos’abbiano da dirci adesso queste voci, queste personae e i loro sapienti curatori. L’orizzonte culturale e sentimentale che ci mostrano è tutt’altro che superato e riappropriarci di certe sensibilità o almeno tentare di avvicinarle nel nostro tempo dominato dalla fretta, dalle letture superficiali e dalla dimenticanza può senz’altro contribuire a ridefinire una scala di valori in cui offrire alle nostre radici nuovi terreni di crescita.

Spiritismi, teorie e corollari

Maghi, spiritisti, illusionisti, mesmeristi, ipnotizzatori, sensitivi. Professionisti dell’occulto a vario titolo e grado aleggiano fra bizzarri, per non dire improbabili, dagherrotipi, prodotti fin dagli anni Quaranta del XIX secolo. Locandine di eventi incentrati su numeri di prestigio, inviti a visitare misteriose sale dove si praticavano le sedute spiritiche o altri esperimenti di comunicazione coi morti. Fra i luoghi di maggior richiamo le cosiddette “stanze egizie” sull’onda di un ambiguo e fascinoso rapporto che da sempre lega l’egittologia all’esoterismo. In simili gabinetti orchestrati da sedicenti professionisti prendevano forma numeri ed esperienze che facevano leva su presenze e testimonianze di antiche civiltà, ritenute depositarie di poteri sovrannaturali. E ancora, al di là di manifestazioni più o meno credibili, divi assoluti, osannati da folle eterogenee ed incuriosite, come Harry Houdini, in aperto dissidio con l’attività di presunti medium e parapsicologi. Strumenti e materiali con cui approntare vere e proprie scene a tema, maschere, burattini, parrucche, stoffe (di solito i bendaggi venivano utilizzati per simulare il cosiddetto ectoplasma). E ancora, manuali, appunti, disegni autografi. È questo il vastissimo e in larga parte inedito apparato iconografico che accompagna il libro Die Kunst der Illusion. Magier, Spiritisten und wie wir uns täuschen lassen, pubblicato da Dumont nel 2019.

Il mago William S. Marriott presiede all’apparizione dello spirito di un “Geistervogel”, un uccello fantasma. L’animale dal bianco piumaggio si scorge appena sopra il mazzo di fiori tenuto in mano dalla donna che all’aspetto evoca una vestale o qualcosa di simile. Una fotografia davvero scenografica tratta dal citato volume Dumont (2019)

Testimonianze della mentalità e di una moda che attraversò buona parte dell’Ottocento, trovando una sponda assai stimolante nell’invenzione della fotografia, mezzo che si prestava a sperimentare e suggestionare come pochi altri fino a quel momento. Un fenomeno esteso che interessò trasversalmente i paesi occidentali di cosiddetta cultura sassone come anche quelli mediterranei. Alle latitudini italiane è risaputo che non ne fossero esenti letterati e uomini di cultura di differente formazione, anche in ruoli di spicco per quanto concerne la loro professionalità e in conseguenza la presenza pubblica. Lo spiritismo era in grande spolvero nei salotti borghesi di allora. Citiamo a titolo d’esempio la cerchia in cui si aggiravano Luigi Pirandello, Luigi Capuana e Gabriele D’Annunzio. Nel caso dannunziano non è trascurabile per il contesto il rapporto con l’architetto del Vittoriale, l’amico Gian Carlo Maroni, che si definiva occultista e sosteneva di esercitare la telepatia. A Napoli nel 1886, il poeta pescarese incontrò l’arcinota medium Eusapia Paladino, personaggio quasi leggendario. L’episodio fu poi oggetto di narrazioni parodistiche come quella che ne fece molto tempo dopo la rivista «Varietas» sul numero di maggio del 1919. Mentre durante la reggenza del Carnaro ebbe contatti con la poetessa e occultista triestina Nella Doria Cambon, nel cui casa si tenevano riunioni di natura spiritista frequentate dalla marchesa Casati, da Tommaso Marinetti, Ada Negri e Italo Svevo.

John Singer Sargent, Fate, 1879 circa

Non è infine trascurabile il ricchissimo, multiforme e screziato patrimonio libresco sulle arti magiche. Tali edizioni in non rari casi hanno alimentato biblioteche sorprendenti, “compendiato” luoghi di singolare natura ed eclettica fisionomia come le Kunst und Wunderkammern, alla stregua di talismani e altri oggetti rituali, offerto un banco di prova all’estro di stampatori che hanno fatto di queste opere dei veri e propri pezzi d’arte. Si rimanda, sempre nel panorama italiano, alla Bibliotheca Hermetica Verginelli-Rota, ricordando che Nino Rota è stato l’autore delle più celebri colonne sonore felliniane. Quanto a Vincenzo Verginelli, classicista, amico fraterno di Rota che aveva conosciuto a Bari nel 1939, dove quest’ultimo insegnava al conservatorio, è l’autore del catalogo di questa loro pregevolissima e rara creatura, alimentata dalla comune passione per la filosofia ermetica, soprattutto di matrice antica, e da un’inesauribile passione bibliofila. Aggiungo per chiosare che lo stesso Federico Fellini subiva volentieri il fascino di simili argomenti tanto che fu pure in contatto con Gustavo Rol.

Le collezioni librarie stimolate da curiosità di questo tipo attraversano a quel che pare le epoche umane e intersecano interessi eruditi, con radici ben piantate nel mondo greco, soprattutto del periodo ellenistico, e latino – si pensi ai papiri magici, raccolte di incantesimi, esorcismi, malefici, e sul fronte opposto del pensiero razionalista al De divinatione ciceroniano, agguerrita trattazione contro le pratiche degli indovini. Il citato volume tedesco, si pone come un dettagliatissimo catalogo d’arte sul “ritorno” moderno dell’animo magico restituito nei suoi diversi risvolti e per mano di sbalorditivi documenti visivi.   

Antonio Donghi, La fontana dei cavalli marini, dalla mostra di Palazzo Merulana (Roma) Antonio Donghi. La magia del silenzio
fino al 26 maggio 2024.
Fotografia di Claudia Ciardi ©

Di seguito altre immagini tratte dal volume oggetto di questa breve dissertazione

Le stanze egizie
Copertina del libro

Altri collegamenti sull’argomento trattato:

Enigma Rol – Il docufilm (uscito nell’ottobre 2023, per chi non ha potuto vederlo in sala, ci si augura che prima o poi venga diffusa una versione streaming).
Qui il trailer ufficiale.

Per una lettura in chiave comica di alcuni luoghi comuni della magia e del macabro si consiglia la spassosa commedia all’italiana, Io zombo, tu zombi, lei zomba (disponibile su Raiplay). Un’improbabile combriccola di zombie, un ridicolo manuale di magia che custodisce una formula scandita a suon di “paraponziponzipo”, una parodia di categorie sociali e tipi umani degni di un’armata Brancaleone per spiritisti.

Neogotico e Wunderkammern (dal 2 al 12 maggio 2024 a Roma).

Tra Larthi e le colline romane

La zona delle colline e dei castelli romani offre paesaggi suggestivi che attorniano complessi monumentali e archeologici di grande prestigio, la cui conoscenza passa anche e soprattutto da strategie mirate di valorizzazione e dalla nostra capacità comunicativa. La cultura, intesa come attenzione per il territorio, la sua storia passata e presente, e per tutte quelle testimonianze che contribuiscono all’identità dei luoghi, può fare molto. Può anzi giocare un ruolo decisivo per il rilancio e la costruzione di reti estese alla base dello scambio di esperienze individuali e comunitarie.

Il premio Massenzio, organizzato dal comune di San Cesareo, che fra le sue attrattive vanta un’area archeologica fra le più rilevanti della nostra penisola, la “Villa di Cesare e Massenzio”, è improntato a questo spirito di memoria, conservazione e desiderio di traghettare i nostri valori, le tracce delle origini alle generazioni future. 

Del resto, l’Italia è un paese di molteplici e sorprendenti stratificazioni, naturali, popolari, artistiche. Saperle interpretare, connettere e travasare in contesti fra loro contigui o meno, è alla base di ciò che riesce ad attrarre presenze, incentivare interessi e generare investimenti, intesi a livello di capitale materiale e umano. Viene da chiedersi se la scrittura possa dare un contributo in tal senso. Certamente sì. L’esercizio della parola condiviso fra persone sinceramente e semplicemente ispirate dalle loro rispettive appartenenze ed esperienze territoriali è capace di scendere in profondità, sa motivare ed essere guida.

Campagna laziale fra San Cesareo e Colonna

Ogni discorso sull’identità viene fin troppo spesso ridotto al nazionalismo. Tuttavia, l’idea di popolo e di nazione, proprio a causa di pregiudiziali ideologiche, sono incappate negli ultimi anni in un colossale fraintendimento, volto fino all’autocensura. La nostra storia più recente, risorgimentale, nasce da una precisa e sentita volontà di unire, di identificarci per l’appunto. Un processo che per certi versi non si è ancora concluso, dove il contributo territoriale, civile e narrante di ognuno, perché molte, troppe sono ancora le voci che non hanno voce, attende di avere piena rappresentanza, di trasformarsi nelle ulteriori sfide che scuotono l’attualità, per non dire della tuttora irrisolta questione meridionale. Chiudere gli occhi e spazzare via tutto in nome dell’anonimo salto globalista è, specialmente per un paese come il nostro, qualcosa di innaturale. Una pericolosa stortura.

L’itinerario della Via Francigena nel Sud

La poesia in particolare ci ricorda i sacri legami col nostro passato, i nostri antenati, la nostra terra. E come dice la mia cara amica poetessa di origini russe Natalia Stepanova «la poesia mai sarà morta. È una divinità». L’evento celebrato lo scorso 6 aprile nella biblioteca comunale di San Cesareo, i cui esiti sono stata raccolti nell’antologia del premio dove potete trovare anche la mia poesia intitolata a “Larthi”, la principessa etrusca della necropoli di Cerveteri, s’inserisce nell’ambito delle iniziative dell’area dei Castelli romani e, promuovendo il dialogo fra arte e scrittura, nel concorso di tante energie creative dalle diverse aree geografiche della penisola, intende valorizzare il nostro patrimonio culturale.

Il tramonto dalla “Casa di Grazia”, b&b e ristorante, edificio storico di San Cesareo in Via del Carzolese, abitato da tre generazioni, costruito pietra su pietra nel 1910 (l’anno della cometa di Halley)
Le montagne in una tela a casa di Grazia, dove la passione per l’arte e
la gentilezza sono palpabili
Antologia del Premio letterario Massenzio_
II edizione
Presidente del Premio: Antonella Gentili
In copertina: Tratto del basolato dell’antica Via Labicana

*In questo articolo sono riportati stralci del mio discorso pubblico tenuto durante la premiazione.

*Fotografie di Claudia Ciardi ©