Fiore fra le simbologie più complesse e stratificate nel tempo, mitico e storico, incarnazione di contrasti e ambivalenze, al centro di riti, oggetto di credenze e incantesimi, amato da fate e streghe. La presenza della rosa nelle fiabe risale all’epoca medievale, e le qualità magiche che le sono attribuite derivano senz’altro dall’antica associazione alle divinità. Ad esempio nella storia che lega Adone e Afrodite. La dea della bellezza, depositaria di aspetti che la uniscono alla grande Madre, deterge un olio profumato di rose sul corpo di Ettore morto. Gli aspetti ancestrali del femminino, della maternità cosmica, della vita e della sua cura, anche nella morte, si intrecciano alla rosa, alla sua essenza, al suo linguaggio. A tale proposito, nel dualismo di vita e morte, affiorano pure analogie con Ecate, dea infera, conduttrice di anime (psicopompa), e con Iside; nella ventata delle mode orientali della tarda latinità, la devozione isiaca, frutto di sincretismi religiosi, acquista seguaci anche nelle classi agiate. Ne è oggetto il famoso capolavoro di Apuleio, Le metamorfosi note anche come L’asino d’oro. Gli antichi riti funebri in memoria dei morti si chiamavano Rosalia, da cui si sarebbe ereditato l’uso di deporre rose sulle sepolture. Trattandosi di un rituale con ascendenze asiatiche, si ipotizza che a introdurlo a Roma siano stati i commercianti di lungo corso attivi nelle province orientali. Secondo altre ipotesi, invece, le Rosalia nacquero sotto l’impero di Augusto, importate dalla Gallia Cisalpina. C’è chi sostiene che era una pratica diffusa soprattutto tra i militari, che utilizzavano le rose per onorare, in mancanza dei familiari, i loro compagni caduti.
Comunque stiano le cose, un fatto è certo: i romani ogni anno tra il 10 e il 31 maggio si facevano carico di queste festività per onorare chi non c’era più.
A conclusione di quanto detto sin qui, il legame preferenziale con le dee, la sfera sentimentale e sacra, ne ha fatto per antonomasia il fiore del femminile e della femminilità, fisica e spirituale, di cui accoglie e riflette il segreto e il mistero. I ragazzi iniziano a declinare il latino sillabando il nome della rosa, che è canto già nel susseguirsi di quelle desinenze. Dalla Grecia omerica e arcaica, dove l’aurora ha dita di rosa, a Cielo d’Alcamo e poi ancora nella poesia rinascimentale e barocca, la sua celebrazione in versi non conosce inaridimenti. Fragile quanto longeva e salda, la troviamo disseminata nelle opere letterarie e in quelle d’arte, ritratto di un inscindibile connubio fra sensibilità poetica e figurativa.
Il moto concentrico dei suoi petali rappresenta la ruota del ciclo vita-morte-vita. La rosa è coppa e femmina che conserva e presiede l’eterno ritorno. Attraverso un percorso culturale molto lungo e sfaccettato, dai Pitagorici al romanzo ellenistico – vi si è accennato con Apuleio che a quelle fonti attinge – la rosa diventa l’emblema del segreto (sub rosa) nell’immaginario alchemico ed ermetico.
È già un paio di volte che mi accade di documentarmi sulla ricostruzione in Ucraina. Oggi mi è capitato che mi chiedessero se la guerra era finita. Cosa? Dove l’avete sentito? Rispondo io. E mi fanno: Non hai visto la delegazione che è andata a firmare per ricostruire? No. Comunque la guerra non è finita.
Anzi, da qualche giorno aleggia di nuovo l’incubo nucleare con la questione dei bombardamenti a Zaporižžja e la notizia che il gas sarà tagliato fino all’inizio di settembre (Nord Stream chiuso, ufficialmente per manutenzioni). In via più plausibile, ogni volta che c’è un’iniziativa sgradita a est – annessioni Nato, invio di armi, tavoli per la ricostruzione – la risposta non si fa attendere: grano bloccato, un attacco missilistico particolarmente distruttivo, centrali nucleari che si riaffacciano nella contesa. Stavolta, chiusura del gas da subito, preceduta dalla caustica dichiarazione di Medvedev che poche ore prima aveva liquidato l’intera classe dirigente europea come una compagine di inetti.
No, cari ragazzi miei, la guerra non è per nulla finita.
D’altro canto, la domanda e la conseguente discussione mi hanno fatto tornare all’inizio di luglio, quando a Lugano si è tenuta una conferenza per la spartizione delle zone da ricostruire. Non ci avevo dato molto peso, ma la cartina che mi era venuta sotto gli occhi qualche interrogativo me l’aveva suscitato. Come si poteva e si può parlare di ricostruzione mentre ancora infuria la guerra? Cioè, pensare a ricostruire non quando ormai gli esiti sono chiari, tanto da poter mettere sul tavolo piani certi, cronoprogrammi, risorse entro un quadro politico assodato, scaturito da un evento. Ma farlo molto prima, nella totale incertezza. Sarebbe un messaggio rassicurante, di solidarietà? Siamo sicuri? O forse l’ennesima presunzione, quel tarlo che purtroppo a ovest sembra infestante, di buttarsi nelle cose senza considerare le effettive condizioni in cui si opera. Da questo punto di vista la mia riflessione si collega alla precedente sulla fine delle illusioni di massa. E tra qualche rigo ci voglio tornare.
Prima però intendo concludere questa parte ricordando che nell’occasione della conferenza svizzera di luglio all’Italia sarebbe virtualmente toccata la zona di Donetsk. Forse la più problematica, anzi senza forse. Perché lì la guerra c’era da prima che scoppiasse nel resto dell’Ucraina. Otto anni di martirio nell’indifferenza del mondo – 268 bambini uccisi, altrettanti e più orfani di genitori, feriti e senza cure, costretti a star lontani da scuola perché esposti al tiro dei cecchini. Eppure delle associazioni di volontariato italiane erano presenti, alcune hanno anche girato drammatici reportage lanciando un grido d’allarme che nessuno ha raccolto – in tal senso l’assegnazione al nostro paese mi trova pienamente a favore, avrebbe un suo perché, una certa coerenza, per quanto sia una missione davvero ostica, che implicherebbe grande, grandissimo equilibrio soprattutto nella gestione politica e diplomatica. Ma questa precoce autoinvestitura mi lascia comunque perplessa. Sensazione che oggi torna insieme a tutta la mia precedente perplessità. Cui si aggiunge un’altra domanda: i Russi cosa pensano al riguardo? Ossia che ci arroghiamo il diritto a ricostruire sostanzialmente seduti a un tavolo unilaterale. Ma sì, i Russi staranno a guardare, proprio come hanno fatto in questi ultimi mesi, mentre noi diciamo a noi stessi: qui ci saranno queste delegazioni, qui invece si farà diversamente ecc… Siamo sicuri che funzioni in questo modo?
Infine, come costruisci la tua casa mentre fuori c’è tempesta?
L’iniziativa sarebbe ancora lodevole se funzionale a spingere verso un componimento decisivo del conflitto. In un quadro già avviato, ormai pressoché risolto. Ma noi non siamo nemmeno lontanamente a questo stadio, a parte le dichiarazioni a giorni alterni sulla disponibilità a negoziare o meno. Quali passi avanti nelle trattative di pace o presunte tali sono stati fatti?
Ed Henry Kissinger, questo quasi centenario che di recente è tornato a parlare con assennatezza, come anni fa, come negli ultimi mesi, ancora non lo ascoltiamo. Si dà invece il caso che questi signori del passato abbiano dato prova di essere molto più ragionevoli dei loro pupilli, che lo sono soltanto per un fatto generazionale, non certo per virtù acquisite (gli attuali settantenni alla guida oltreoceano). Rileggiamolo Kissinger: «Gli Stati Uniti sono sull’orlo di una guerra con Russia e Cina. È una situazione che in parte hanno creato Washington e la Nato, senza alcuna idea di come tutto ciò andrà a finire, o a cosa dovrebbe portare». (Dichiarazione apparsa sul Wall Street Journal, agosto 2022). Uno stato cuscinetto fra Russia e Occidente, disinnescare, raffreddare, fare qualcosa di controllabile dalle due parti, non un gioco delle parti, tenere al riparo la popolazione, grazie Henry! Ecco come bisognava agire, molto prima. Novantanove anni, l’unica mente lucida. Invece ad oggi abbiamo solo un massacro senza fine e l’incubo di un’enormità che ci tallona.
Ironia della sorte, ma qui adesso non ride più nessuno. Mentre andiamo ai tavoli di una paradossale ricostruzione (in piena guerra) la Toscana è stata travolta da un evento disastroso che, seppure di natura diversa, per i danni che si è lasciato dietro è almeno in parte assimilabile a un bombardamento. Tanti dei nostri alberi secolari sradicati, uccisi dalla furia della tempesta; quale tremenda metafora di ciò che attraversiamo, una metafora reale, viva e sconvolgente che ci riempie gli occhi, ovunque. Quindi, sul tema della ricostruzione ne avremmo di che riflettere e occuparci, anche alle nostre latitudini.
No, cari ragazzi, la guerra non è ancora finita.
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Alcuni fatti degli ultimi giorni sul fronte ucraino, che dalle nostre parti sono stati anche di emergenza meteoclimatica. Leggendo in sequenza si comprende a che livello di incomunicabilità siano gli attori in campo.
20 agosto/ giorno 178
Deputato Gb: la Nato deve intervenire se c’è fuga radioattiva a Zaporizhzhia
Media: abitanti russi lasciano Sebastopoli dopo le esplosioni in Crimea
Arera, Besseghini: oscillazioni del costo del gas, strategia chiara della Russia
Illeso il sindaco di Mariupol dopo tentato omicidio. Lo riferisce l’agenzia di stampa Tass
Mosca: la guerra è iniziata per minacce inaccettabili da Kiev
Onu: sbloccare export da Russia di alimenti non sanzionati. Appello di Guterres durante la visita a Istanbul
19 agosto/ giorno 177
Zelensky ringrazia Biden per nuovi aiuti militari
Nato: ad agosto incontro Finlandia, Svezia e Turchia su allargamento
Tensioni in Lettonia per la rimozione di monumenti sovietici
A Londra Saatchi Gallery cancella una mostra d’arte ucraina organizzata da un russo
In una lettera all’Onu Mosca denuncia “provocazioni” a Zaporizhzhia
Gazprom: stop ad unica turbina di Nord Stream il 31 agosto per 3 giorni di riparazioni
18 agosto/ giorno 176
Zelensky: “Negoziati possibili solo se i Russi si ritirano”
Mosca: la Russia schiera missili ipersonici a Kaliningrad
Rutte a Stoltenberg: bisogna ancora armare l’Ucraina
Kiev: raid russo su condominio Kharkiv, il bilancio sale a 12 morti
Russia: chiuderemo la centrale di Zaporizhzhia se gli attacchi continuano
Erdogan proporrà il cessate il fuoco nell’incontro a Leopoli
La mostra cancellata – Ancora ingerenze nell’arte, l’unica patria che dovrebbe restarci libera.
Riporto per intero la notizia da «Rainews» (19 agosto 2022)
La Saatchi Gallery di Londra ha cancellato una mostra di arte contemporanea ucraina dopo una protesta sui social media dovuta al nome del responsabile dell’organizzazione dell’evento, il banchiere e collezionista d’arte russo Igor Tsukanov, assistito dal collega russo Marat Guelman come consulente. “The Ukrainian Way” avrebbe dovuto esibire le opere di 100 artisti ucraini presso la galleria dal 3 all’11 settembre con tanto di asta di opere. Tra i partner l’M17 Contemporary Art Center di Kiev e nel comunicato stampa era indicato che tutti i proventi sarebbero andati a “enti di beneficenza che sostengono l’arte e la cultura ucraine, tra cui l’Art for Victory Fund e l’Ucraino Emergency Art Fund”. “La Saatchi Gallery non era l’organizzatore o il curatore di ‘The Ukrainian Way’ né era coinvolta in alcuna comunicazione diretta con gli artisti o i collezionisti”, ha affermato l’ufficio stampa della sede in una dichiarazione a The Art Newspaper, citato da Cnn. La galleria aveva donato il suo spazio con l’obiettivo di “promuovere artisti ucraini e generare fondi di beneficenza a beneficio dell’Ucraina” e il suo “coinvolgimento nel progetto era basato sul coinvolgimento delle principali parti interessate ucraine”, continua la dichiarazione. “Abbiamo ricevuto assicurazioni da queste parti interessate che il progetto era da loro pienamente sostenuto. Una volta che è diventato evidente che il sostegno di alcune di queste parti chiave era stato ritirato, insieme alle segnalazioni di preoccupazioni sollevate dagli artisti negli ultimi giorni, la Saatchi Gallery ha immediatamente preso la decisione di annullare la mostra di dieci giorni e ritirare il suo sostegno al progetto”. La galleria ha annunciato che lavorerà con l’Istituto ucraino, che promuove la cultura ucraina a livello internazionale, per “trovare il modo di mostrare le opere degli artisti ucraini, sensibilizzare sulla situazione inaccettabile in Ucraina e generare fondi per sostenere la cultura ucraina”.