Nella poesia lirica corale Ibico (570-522 a.C. circa) occupa una posizione di rilievo. Reggino, appartenente a una famiglia aristocratica, si formò alla scuola del siciliano Stesicoro. Definito come uno dei primi poeti itineranti, soggiornò a Samo, alla corte del tiranno Eace e di suo figlio Policrate. Qui incontrò un altro celebre poeta greco, Anacreonte. Sarebbe stato anche un inventore (e costruttore) di strumenti musicali, tra cui un tipo particolare di lira detto sambuca (così Ateneo di Naucrati, IV, 175).
Secondo una leggenda, morì a causa dell’aggressione di un gruppo di malviventi inseguiti e scovati da uno stormo di gru, grazie a cui il poeta fu vendicato.
Proponiamo qui un suo celebre canto, il fr. 286 P, nella mia traduzione, in quella di Filippo Maria Pontani, per la raccolta dei lirici greci di Einaudi, e infine nelle raffinate rese del filologo Gennaro Perrotta e del poeta Salvatore Quasimodo, per me impareggiabile interprete delle voci greche.
La primavera è una forza vitale che scorre come linfa dentro ogni creatura. Per l’essere umano è il risveglio di Eros, una dirompente bufera, implacabile e drammatica (ἐρεμνὸς ἀθαμβὴς) che scuote e rimescola nel profondo. Si sente qui un’eco di Saffo (fr. 47 Voigt), dove amore è il vento di montagna che precipita nel bosco.
In primavera i meli cidonii dalle correnti dei fiumi abbeverati, dov’è intatto il giardino delle ninfe, e i tralci dal sogno nutriti degli ombrosi germogli, danno il fiore; né in me amore riposa. Ma gravido come il vento di Tracia viene, dai lampi acceso da Venere ispirato intrepido, tenebroso scagliando l’affilata pazzia, e sempre potentemente il cuore ci sorveglia.
(Traduzione di Claudia Ciardi)
*I meli cidonii sono i meli cotogni. In greco antico prendono il nome dalla città di Cidonia sulla costa settentrionale dell’isola di Creta.
*Il tracio Borea è il vento del nord, la tramontana.
A primavera i meli cotogni, bevute l’acque vive dei fiumi, fioriscono nell’inviolato giardino delle Vergini; sotto i tralci ombrosi dei pampini fioriscono i fiori della vite. Ma per me non dorme Amore in nessuna stagione: come la bora di Tracia infiammata di folgori, così, messaggero di Cipride, s’avventa con le sue follie ardenti tempestoso, sfrenato: dalle radici possiede l’anima mia.
Mentre raccolgo qualche idea sulle tracce della cultura magica nel mondo antico, mi capita di leggere un articolo che mette in guardia da possibili risvolti patologici nel cosiddetto pensiero magico compulsivo. Tutti questi seriosi sostantivi così inanellati mi frastornano; forse l’avvisaglia patologica sta proprio in un lessico così ruvido e respingente. Si dice poi che bisogna fare attenzione a stanare questi sintomi già nei bambini. Un bambino ‘troppo fantasioso’ va monitorato e disinnescato. Che asettica in-civiltà la nostra! Ci sarà anche il rischio di qualche scivolamento psichico, ma si corre pure un pericolo altrettanto grave – se non peggiore – di sterminare degli ingenui moti e bisogni interiori, che sono forse il primo e unico mezzo per un bimbo di comunicare col mondo. Un mondo che può fargli sempre più paura e in cui vorrebbe trovare qualcosa di affascinante (non uso casualmente questa parola, ma la intendo come preciso rimando all’idea del fascino e dell’affatturazione).
Si capisce perché gli studi sull’antichità vivano oggi un momento assai impopolare. Greci, romani, persiani, egiziani erano immersi in simili credenze – certo erano società molto superstiziose, anche – ma avevano di sicuro più rispetto di noi per il dono dell’immaginazione.
Mi ha sempre suscitato apprensione chi attacca qualcuno solo perché si diverte a leggere un oroscopo. Che è peraltro un piacevolissimo divertissement, e oltretutto ci sono astrologi che hanno una capacità di scrittura più fine di altri compunti letterati à la carte. Insomma, l’intolleranza nei confronti della leggerezza, verso aspetti per così dire non immediatamente utilitaristici del vivere, la ritengo molto pericolosa. Fiutare il morbo dappertutto, perfino in un ingenuo momento di ‘piacere magico’ scaturito dal trafiletto astrale di una rivista, cela un intento persecutorio. Così, mentre diciamo di difendere la razionalità, siamo i più irrazionali e maniacali.
Nel mondo antico divinazione, interpretazione dei sogni, poesia, incantesimi e rituali religiosi, astronomia e astrologia erano aspetti vicini, in armonica fusione e comprovata confusione. Certo, non tutto era lecito. Anzi, le leggi sui sospettati di praticare malefici, di utilizzare le proprie conoscenze mediche e botaniche per fabbricare veleni, di attentare alla vita o ai beni altrui con mezzi occulti, erano severe e le punizioni contemplavano fino alla pena di morte. Emblematico il caso delle XII Tavole, il primo corpus giuridico latino. Secondo le autorità la magia era capace di provocare conseguenze nella vita reale, di qui la codifica di norme a protezione dei cittadini. Il pantheon greco-romano annoverava non a caso alcuni dei associati alla dimensione magica, come Hermes, il messaggero divino, che poteva viaggiare fra terra e aldilà, o Ecate, dea della notte e della stregoneria.
Nel periodo imperiale è noto il caso del romanziere Apuleio che non nascose la sua dedizione per le pratiche di magia – probabilmente si interessò ai misteri di Mitra, che dal I secolo a. C., con il ritorno delle legioni da oriente, conobbero a Roma larga diffusione. La stessa religiosità misterica con le sue implicazioni rituali intessute di prove da superare e catarsi finale sono per l’appunto al centro della sua maggiore opera letteraria Le Metamorfosi (o L’Asino d’oro).
La parola mago viene dal greco magos (μάγος) con cui si indicavano i Magi, sacerdoti persiani esperti in arti magiche, ma allo stesso tempo dotti in matematica e medicina. Quella legata ai culti magici è dunque una storia molto longeva che connette fasi diverse delle civiltà antiche nonché spazi geografici alquanto vasti, dalle satrapie orientali all’occidente. I greci ad esempio assimilarono la tradizione egizia di scrivere su piccoli fogli di papiro gli incantesimi, ai quali si accompagnavano ricette o pozioni a base di rare piante esotiche. Celebre l’opera di Fritz Graf, filologo e grande specialista delle religioni antiche, che ha raccolto, analizzato, ricostruito moltissimi aspetti della magia nel mondo greco e romano.
Per gli antichi la parola sprigionava un potere straordinario, cosicché era il medium per eccellenza dell’incantesimo. Una parola plasmata in versi, intonata, cantata. Qualcosa che poteva insinuarsi nella volontà, nel più intimo sentire di qualcuno e fin dentro i suoi sogni, intesi come catalizzatori di desideri, fantasie, disvelamenti; non semplici illusioni notturne ma spazi veri e propri in cui abitava l’anima.
In ambito artistico si segnala una produzione variegata e meravigliosa di oggetti magici dei quali gli amuleti sono forse i manufatti più bizzarri. Teste teriomorfe o figure mitologiche (la Medusa è forse la più frequente) sono al centro di rinvenimenti diffusi in tutte le aree occupate dalla civiltà ellenica e romana. Simili suggestioni si sono tramandate fino ai giorni nostri. Il volto della Gorgone in quanto simbolo ipnotizzante e apotropaico – quindi anche intriso di qualità magiche – ha avuto larghissima fortuna, come soggetto indipendente nelle rappresentazioni d’arte e perfino come logo aziendale. Si pensi alla casa di moda Versace che ha unito la Medusa (scelta dal fondatore Gianni) al leone (idea di Donatella) per la proposta commerciale delle sue produzioni. Entrambe queste creature sono infatti associate a vari livelli nella ritualità romana, portatrici di messaggi ctoni e ultraterreni.