Questa riflessione prende spunto dall’ennesimo restyling di qualche giorno fa ad opera di facebook, stavolta destinato alle pagine aziendali. Volendo lasciare un feedback sulle cosiddette nuove pagine non posso esimermi dal dire di trovarle peggiorate sul piano grafico; direi che a risentire di tale peggioramento è anche, in generale, la fluidità dell’interazione. Inoltre, tolta de arbitrio la vecchia descrizione dei contenuti a favore di una presentazione più stringata, forse volutamente più razionale, l’impressione è, ripeto, di una compagine impoverita. Per farla breve, sembra tanto un riassetto a risparmio.
È stata fatta una media tra follower e like, unendo i due gruppi (mi sfugge sulla base di quale criterio), a quel che sembra ridimensionando entrambi.
Pertanto, la nuova pagina proposta da fb risulta più debole, ancor meno comunicante con l’esterno. Sarà che da anni il social “gratuito” punta sull’adesione degli utenti alle sue campagne pubblicitarie; il fenomeno delle case editrici che si sponsorizzano a pagamento è davvero fra gli esempi più vistosi.
Tutto ciò conferma la mia impressione di uno spazio tutt’altro che innovativo, direi invece sempre più obsoleto (altro che innovazione nel modo di comunicare!) che ormai introduce cambiamenti fittizi i quali anziché proporre ingredienti diversi, sembrano avviarsi a una noiosa staticità, per giunta direzionata e appesantita dai noti controlli e profilazioni.
Questa ulteriore “svolta”, che svolta non è, si direbbe più un preludio a una dismissione o prossima diramazione tra uno strumento-base gratuito ma con pochissime funzionalità, affatto dinamico e destinato alla periferia della rete, e uno “evoluto” ma a pagamento (le sponsorizzazioni del resto sono già un tassello rilevante di questa struttura bipartita).
Tornando al tema, a me personalmente si para davanti una paginetta da prima elementare – anzi i bambini saprebbero essere molto più propositivi e creativi – un’area basica e poco accattivante che mi fa pensare a tutto tranne che al futurista metaverso, alla forza algoritmica e ad altri ritrovati del tecnologico oggi. Se questo è il figlio di una ricerca di anni, mi sembra si cammini alquanto all’indietro.
Ricordate la fretta e furia con cui venne chiuso google plus? Si disse che il numero di visualizzazioni era un fake e che, in conseguenza, premiava persone non organiche all’ufficialità politica, culturale ecc.. E dunque? I social all’apparenza sono stati sdoganati proprio per questo… All’apparenza. Perché poi i veri lanciati e sostenuti si scoprono essere i più organici e compromessi. Ma valla a capire questa democrazia plutocratica e tecnologica…
Resto ancora un attimo sul povero google plus, figlio di un social minore. Io posso dire che quello spazio mi aiutò a trovare dei contatti e sì, avevo più di un milione di visualizzazioni (fake secondo alcuni giornalisti). Ma perché accalorarsi tanto, perché occupare addirittura spazi pubblici sulla stampa nazionale, per dire che su quel canale i più giovani “scippavano” immeritate attenzioni? Insomma, tanto si disse, tanto si fece che prima il gestore tolse la funzionalità inerente alle visualizzazioni – così per far contenti i contestatori con le verità rivelate in tasca – e poi, neanche due anni dopo, chiuse i battenti. È pur vero che google plus non decollò mai veramente e aveva di per sé un bacino di utenza ridotto – il che rende l’acredine e la critica di cui fu destinatario ancor più fuori fuoco. Tuttavia la soppressione del brutto anatroccolo social va ricordata come un clamoroso precedente: una chiusura del tutto arbitraria, forse sollecitata da altri colossi del settore per togliere un contendente in grado di ritagliarsi una sua presenza per quanto più piccolo.
Così l’offerta è tornata a rimbalzare tra i soliti “giganti” – ogni cosa di nuovo al suo posto, insomma – ma ultimamente un po’ argillosi, sempre più argillosi fra perdite economiche, defezioni, inchieste, dispute giudiziarie (caso Musk-twitter, per fare un esempio).
Anche i social, i cosiddetti social innovatori del contemporaneo, si dividono il mercato e lo controllano. Perché sono il frutto ultimo ed estremo di quelle stesse regole di mercato che li hanno generati. Anzi, proprio in quanto frutto tardivo, hanno in sé molti difetti di un mercato entrato in affanno. Siamo ormai, credo, vicini alla presa di coscienza che gli strumenti che abbiamo ritenuto finora funzionali e imprescindibili alla costruzione del futuro siano in realtà quanto di più obsoleto abbiamo fra le mani. Penso che questi spazi come li conosciamo ora abbiano fatto il loro pezzo di strada. Il tentativo di direzionarli o disciplinarli attraverso più o meno latenti dispositivi censorii è un indicatore della loro arretratezza.
D’altra parte mi sembrano promettere molto di più i mezzi che coniugano attività e comunicazione, rispetto a quelli della “comunicazione pura”. Chat istantanee, bacheche virtuali, piattaforme di team building secondo me hanno molte più prospettive davanti a sé e possibilità di affermarsi in un riassetto di interlocutori e interessi che investirà per l’appunto anche la comunicazione. Mi riferisco a spazi in cui l’informazione circola sviluppando progetti di gruppo, servizi, a partire da un’attività reale generando altra attività.
I social classici invece aiutano solo chi al di fuori degli stessi vanta già di per sé un bacino piuttosto ampio di referenti (un andamento verticistico e piramidale che riflette il divario sociale, in questo miseri e fedeli perimetri, specchio della realtà). Gli altri fanno numero, magari si sfogano, magari aggiornano il profilo con le vicissitudini o i trionfi del giorno e… magari donano i propri dati personali al gestore di turno.
Con la pandemia i social tout court mi sono apparsi definitivamente avviati alla senescenza. Mentre proprio nella prima fase delle chiusure se ne celebrava l’enorme indiscussa potenza… (sempre gli stessi vocalizzi, sempre la stessa faccia della luna). Di sicuro ci sarà intervenuto anche un mio moto personale; difficoltà, necessità, cambiamenti di vita collocano l’effimero dove ha da stare. E certo, ho fatto pure una valutazione sulla qualità del mio tempo: chiuso twitter ho scritto di più, i momenti liberi anziché dedicarli ad aggiornare una scatolina con un migliaio di utenti che puntualmente per progredire di pochissimo mi assorbiva non poche energie, li ho appunto liberati, offrendoli appieno a molto altro e di ben più utile nella mia vita. Quando osservo le ore che persone di cultura, che considero anche valide, spendono per badare a queste vuote cornici rabbrividisco. Penso subito alle loro belle energie mentali così miseramente gettate via. E poi, per quanto nobile sia divulgare progetti solidali, luoghi che si sono visitati ecc…, un tramonto, un abbraccio, il vostro bambino sono vostri, sono di quel momento. Teneteli per voi. Rallentate, almeno. Non esibite, almeno esibite di meno. Anch’io la mia pagina, per quanto ormai la consideri davvero accessoria al mio cosmo creativo, la tengo. Per ora, per quel che posso, la aggiorno. Ma più blandamente. C’è un po’ di protesta per uno strumento che fagocita offrendo poco, ma più ancora un sano distacco. La vera rivoluzione adesso ritengo sia questa, sia questo passo che allontana da ciò che è scontato, se non fermo.
Guardando oltre me, sono convinta che come molte cose anche il comunicarsi, dunque le forme di condivisione del proprio essere ed esserci, andranno incontro nel breve a un radicale mutamento.
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